Alcune domande ed alcune riflessioni per impostare in modo serio e aderente alla realtà della scuola il problema della valutazione.
Prima di affrontare nello specifico il tema della valutazione, sarebbe il caso di chiederci cosa si vuole valutare, con quali obiettivi, secondo quali metodologie.
Dire infatti che si vuole valutare la scuola italiana nel suo complesso o i singoli cicli scolastici, è cosa molto generica, nei confronti dei quali, peraltro, non manca abbondanza di dati. Basta, infatti, osservare il rendimento degli alunni nel passaggio da un ciclo all’altro per constatare che le cose non funzionano. Se anche la scuola elementare è ritenuta il segmento migliore, è pur vero che i docenti delle medie si lamentano degli alunni semianalfabeti e non scolarizzati delle prime classi, per non parlare di quel che pensano di questi docenti quelli delle superiori, fino all’Università e ai concorsi pubblici postuniversitari, che non di rado giungono all’onore delle cronache per la stupefacente ignoranza dei concorrenti. In Italia, con grave danno sul piano dell’esempio che si dà ai giovani studenti, sgrammaticano ministri e giornalisti, magistrati e insegnanti, quale che sia la loro età. Dobbiamo citare le domande poste ai parlamentari italiani dalle Iene? Né è un mistero che un buon quaranta per cento (ad essere generosi) dei docenti universitari, non supererebbe i test di ingresso delle Facoltà nelle quali insegnano da decenni.
Se dovessimo confrontare questo dato inequivocabile e a tutti noto con i concreti interventi messi in atto negli ultimi vent’anni per migliorare la situazione, verrebbe da augurarsi che lo Stato non butti dalla finestra altro denaro pubblico per attivare i processi di valutazione.
Veniamo ora al secondo punto: quello degli obiettivi. Con l’introduzione della valutazione si mira positivamente ad individuare limiti e lacune e a superarli con interventi costruttivi ed efficaci, oppure si mira, come qualcuno forse a ragione teme, a scaricare colpe e responsabilità sul personale, in una sottile quanto ipocrita operazione di immagine che legittimi il disimpegno che ha caratterizzato l’azione dei governi? O sugli alunni, che non adeguano il loro impegno agli obiettivi prefissati, guadagnandosi così una giusta bocciatura? Detto in altri termini: un insegnante mira a verificare le conoscenze e le capacità acquisite dagli alunni o le loro lacune? E se mira a verificare le loro lacune, lo fa perché ritiene che vadano colmate o per confermare l’ipotesi che quell’alunno non vuole proprio impegnarsi e, dunque, meglio abbandonarlo al proprio destino, punirlo per la propria indolenza?
Per quanto riguarda le metodologie, nessuno è tanto ingenuo, o tanto sprovveduto, da credere che esistano metodologie oggettive, asettiche, imparziali. Chi è preposto alla valutazione lo sa bene, come anche tante altre persone dotate di intelligenza e di buon senso. Bisogna poi aggiungere che la tendenza dell’Italia, paese a vocazione gregaria e provincialistica, di riprodurre i parametri valutativi di paesi molto lontani dal nostro, per cultura, tradizione, storia, sistema educativo, non è né sana né intelligente: un campione di scopone non è detto che non sia una schiappa a booling. Se vogliamo valutare la scuola utilizzando determinati parametri, occorrerà almeno che a quei parametri si sia conformata la scuola stessa nel suo complesso: i contenuti, i metodi, i libri di testo, la preparazione dei docenti e l’educazione familiare.
Questo dovrebbe essere fatto, qualora non si voglia mettere in discussione se, nella vita, giocare a booling sia meglio che giocare a scopone, oppure si potrebbe avviare un dibattito pubblico e, direi, liberale e costruttivo, sull’argomento.
Fatta questa premessa, veniamo al vero punto della questione. Abbiamo valutato e, anche se i dati confermano cose già note a tutti, diamo per scontato che, dalla valutazione, emerga che la scuola italiana nonfunziona. Come intervenire? Le scelte possibili sono molte. Si potrebbe decidere di chiudere la scuola pubblica, come si fa per tante aziende sull’orlo del fallimento. Oppure si potrebbe operare una radicale riconversione, che implica entusiasmo, investimenti, nuove tecnologie, ricerca di mercato, aggiornamento degli addetti, materiali inediti ed altro ancora. In altre parole, ripensare e rifondare tutto daccapo, a partire da cosa ci si aspetti da un sistema pubblico di istruzione, con l’intenzione, reale e non solo verbale, di spendere e spendersi nel progetto.
Oggi la scuola, per alludere ad un aneddoto della storia antica che apparteneva al bagaglio culturale degli alunni di un tempo, è come un individuo, ciascun organo del quale, va per conto suo, mentre il cervello, per riparare al malessere che patisce, ha stabilito di tingersi le unghie. Come un organismo necessita che ogni sua parte persegua, in coerenza con tutte le altre, la medesima finalità (la vita), così la scuola necessita che tutte le sue componenti, umane, organizzative, programmatiche, sociali, culturali, strutturali, tecniche e, infine, valutative, siano pensate unitariamente, in maniera articolata e complessa, in riferimento alla realtà sostanziale, direi tangibile, che è stata sempre il vero assente in tutte le innovazioni che si sono proposte fino ad oggi.
Senza tener presente le persone in carne ed ossa è stato possibile disegnare sistemi scolastici perfetti sulla carta ma drammaticamente destinati al fallimento nella loro applicazione. Non si può, ad esempio, avere un corpo docente preparato, appassionato ed aggiornato come lo si prefigura in astratto se si è disposti a pagare un prezzo che può procurarci solo merce scadente e mediocre. Non si può pretendere di porre l’istruzione come un valore se il luogo dove tale valore si esercita è fatiscente, sporco, maleodorante, degradato. Non si possono stilare curricula onnicomprensivi e disarticolati, ottimi sulla carta e irrealizzabili nel concreto, e pretendere che gli alunni (quelli veri) ne assimilino con padronanza e spirito critico contenuti e metodi. Non si può attardarsi in dibattiti sulla necessità che la scuola si adegui alla modernità e non dotare gli istituti di quanto la modernità mette a disposizione del mondo contemporaneo. Tante altre cose non si possono più tenere fuori dal dibattito serio sulla scuola: la necessità di intervenire sull’arretratezza sociale e culturale di tanti alunni, per i quali l’italiano è ancora una lingua straniera; l’ esigenza di inserire elementi di flessibilità reali all’interno dell’organizzazione scolastica (nella formazione delle classi, nei tempi di lavoro e di apprendimento e via dicendo); l’opportunità di ripensare (semmai riducendone il numero) gli insegnamenti e i programmi in relazione alle priorità generali della formazione, alle ore di lezione, agli ormai indispensabili strumenti didattici moderni di cui le nostre scuole sono prive; l’utilità di ripensare il ruolo dei libri di testo da un punto di vista che oltrepassi il mero specialismo compartimentale che li contraddistingue; l’urgenza di reimpostare l’inserimento degli alunni diversamente abili secondo criteri più realistici e, al tempo stesso, più efficaci e rispettosi della loro dignità; l’improrogabilità di promuovere l’eccellenza; il bisogno di adeguare l’insegnamento alle esigenze dell’aggiornamento permanente, figlio di una società in continua e accelerata trasformazione. Tante tematiche che non possono essere discusse negli asettici consessi di specialisti che della scuola non conoscono la vita, gli odori, il rumore, le gioie e le difficoltà.
Per tutti questi motivi è difficile parlare di valutazione. Difficile o estremamente ipocrita, quando si voglia trascurare di fare chiarezza su argomenti così pressanti. Occorre, prima di dare il si stampi ad altro materiale cartaceo utile solo a noiose analisi professorali o di manipolazione politica, chiamare in causa i docenti, i collaboratori, le famiglie, gli alunni, gli editori, e rifondare la scuola italiana. E ultimo, ma non ultimo, mettersi in grado di rispondere alla fatidica domanda che assilla insieme docenti, studenti, genitori: “Che destino c’è dopo la laurea”? Perché mai anche questo aspetto non dovrebbe entrare a far parte dei parametri della valutazione?