La mostra di Padova
La mostra parte da alcune opere del padre, pittore di corte del Granduca di Toscana, Giovanni Signorini, che fecero la fortuna delle vedute di Firenze nel collezionismo internazionale.
Ma già nelle prime esperienze Telemaco va oltre il padre, lancia lo stile della macchia nelle proprie opere.
Esprime una cura nella descrizione del paesaggio da innamorato della natura, al contempo rende essenziali, in esso, le persone con i loro dolori e le loro fatiche: naturalismo e realismo si compenetrano. Il gioco fotografico, il taglio panoramico dell’immagine, il ritmo della composizione trasformano l’uso della macchia in visione da fotogramma.
L’alzaia, 1864
Scelta a logo della mostra, è sicuramente un’opera emblematica per capire Signorini, raccontarlo e tramandarlo: lo straordinario impeto nella fatica dei manovali, grandi in primo piano, dalle braccia abbandonate, dalle spalle tese e dai colli contratti, che, con le gambe affondate fino ai polpacci, trascinano con le corde forse un barcone: dolenti nel corpo e nello spirito. Le tonalità cupe negli abiti, nei visi, nei cappelli, in contrasto con le maniche arrotolate di bianche camicie sgualcite, e qualche gilet grigio, li proiettano verso l’osservatore. Sono immersi in un’ atmosfera assolata, ed obbligano lo sguardo a spingersi prima verso i profili di mare e di case, poi verso un omino distante che, da elegante, in cappottino cammello, diventa grottesco nella sua totale indifferenza. Una bimba accanto a lui si volta per guardare un cagnolino. Signorini nel raccontare il suo presente drammatico riesce ad anticipare le difficoltà di oggi, tra cinque fatiche diverse che ci attanagliano e l’arroganza di un ometto impettito, inorgoglito dall’alto cilindro nero, con la pretesa di essere superiore. L’artista lo pone fra due punti d’orizzonte fra loro lontani: il nostro, il suo; il passato che ritorna e si ripete nei secoli, fino a farsi presente.“ L’alzaia”, metafora della vita umana, da una parte la fatica, gigantesca, dall’altra l’altezzoso distacco del potere ed il sorriso ironico dell’artista .
Altre “macchie” : suggerimenti di percorso
Nuove riflessioni sul paesaggio: 1868-1875
“Un mattino sull’Arno”: nuvole e Arno con riflessi argentei in estate, sfondi verdeggianti in primavera; stradicciole movimentate da pozze d’acqua, viottoli con le orme dei carri, cieli tersi, cirri bianchi e grigi verso i profili delle colline ora verdi ora viola, carri, uomini e donne vivono e attraversano l’ Arno
“Ritorno”: accaldate, dal fondo del viottolo salgono due figure, sono lontane, ma i colori e la prospettiva li rimbalzano in primo piano, la natura è solo un contorno atto a creare l’atmosfera propria di chi pieno di attese, non vede l’ora di arrivare, dopo essere stato a lungo lontano.
“Rendez-vous nel bosco”, Incontro- scontro di una coppia: la arroganza di lui attenuata dalle mani inguantate ma giunte, mentre lei di spalle sembra attonita e al tempo stesso pretendere spiegazioni, l’abito ondeggia per una folata di vento nel verde intenso del bosco.
L’Elba: 1889-1898
Un piccolo ed un grande trionfo della macchia e della luminosità propria del paesaggio dell’Elba:“Pascolo a Pietramala”, un prato spruzzato di sfumature luminose il primo, l’altro scheggiato da colpi di pennellate scure, brevi, secche che danno forte profondità e volume: l’autore assorbito lo stile della macchia, poi dell’impressionismo rilancia al futuro.
Ritorno alla figura 1885-1898
“Bambini colti nel sonno”, un rimando a Degas e Toulouse-Lautrec ed al contempo anticipazione della grafica dei fumetti: pochi tratti e soluzioni cromatiche sorprendenti.
“La diana del lavoro”: operai grigi, ammassati ai portoni di una fabbrica cupa, in un giorno di nebbia : tanti tratti scuri, qualche bagliore grigio argento, un profilo di uomo ed uno di bambino, cresciuto troppo in fretta e smarrito
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Signorini, in questo percorso, continua a raccontarci il senso della tragedia propria della vita umana, in tutte le diverse sfumature, allo stesso tempo la capacità di riscatto di ciascuno. Rappresenta alcuni aspetti briosi, altri sereni, i tanti dolorosi, immergendo le persone, di volta in volta, in atmosfere e paesaggi tanto appropriati da farne un unicum.
Il superamento delle tensioni è nelle curiosità dei bambini, nell’impegno dei
giovani, donne ed uomini, popolani, contadini, ricamatrici, pittori, operai, che la sua arte rende immortali.
Perché abbiamo aspettato tanto a riconoscere il valore del suo messaggio?
Palazzo Zabarella
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19 settembre 2009 – 31 gennaio 2010