“Care amiche e amici di Voci del verbo insegnare,
aprite la pagina di Repubblica. Ci racconta che è successo quello che non potevamo non aspettarci: si lascia la scuola, bisogna andare a lavorare perché in casa è entrata la crisi.
Quanti casi ci sono come questo? Cosa succede con le iscrizioni all’università? E le ragazze quanto sono colpite da questo fenomeno?
E’ una domanda che vi pongo e sulla quale credo sia importante sapere e parlarne in tanti.
Siamo tornati all’Italia più povera, quella in cui si doveva lavorare subito, fin da piccoli. Alla faccia della formazione lungo tutta la vita”
Mauria Bergonzini
L’articolo a cui Mauria fa riferimento (http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/cronaca/studente-rovereto/studente-rovereto/studente-rovereto.html ) narra la vicenda di un ragazzo di 17 anni di Rovereto, che ha deciso di abbandonare l’istituto superiore che frequentava, per aiutare la famiglia in difficoltà economiche, con il padre è disoccupato. La dirigente dell’istituto, che ha deciso di sollevare il caso, dice che in simili difficoltà si trovano molte famiglie “sia di extracomunitari che di italiani, soprattutto se ci sono più figli e tra i genitori qualcuno è in cassa integrazione o ha perso il lavoro.”
Non siamo in grado, come redazione, di rispondere alle domande che Mauria ci pone, non abbiamo gli strumenti per farlo.
Possiamo, però, rilanciare quelle domande, aggiungendo qualche altro elemento e, anche, ampliando il problema.
Su “Il sole 24ore” (1dicembre 2009) vengono riportati alcuni dati sulla disoccupazione in Italia.
“La disoccupazione schizza a livelli record, con il numero dei senza lavoro che a ottobre, per la prima volta dal marzo del 2004, sfonda la soglia dei 2 milioni. A ottobre – comunica l’Istat – il tasso di disoccupazione è salito all’8% dal 7,8% di settembre (più un punto percentuale rispetto allo stesso mese dell’anno scorso), raggiungendo il valore massimo dal novembre del 2004. Il numero delle persone in cerca di lavoro è quindi 2.004.000, in aumento del 2% (+39mila persone) rispetto a settembre e del 13,4% (+236mila) su base annua.”
A questi vanno aggiunti i circa 500mila cassintegrati e gli “invisibili” quelli che non si conoscono, che non rientrano nelle statistiche perché lavoravano in nero.
Possiamo ipotizzare che, in molte famiglie, le ristrettezze economiche e l’insicurezza per il futuro facciano ridimensionare, limitare o, addirittura, annullare i progetti sugli studi dei propri figli. Però di queste rinunce difficilmente sapremo qualcosa. Nessun dato verrà raccolto e nessun giornale ne darà conto.
A questi numeri bisogna aggiungere le percentuali della dispersione scolastica.
Questi sono i dati di uno studio della Banca d’Italia riferiti al 2007:
“A fronte di una media europea di abbandono scolastico del 15%, l’Italia registra …una media del 20% con punte del 25% al Sud e Isole e del 18% nel Nord Ovest, mentre il Nord Est è perfettamente in linea con la media Ue e il Centro addirittura al di sotto.”
Questo vuol dire che nel 2007 un ragazzo su cinque aveva conseguito solo la licenza media, mentre a Sud la situazione peggiora a uno su quattro.
Di questo problema ci si preoccupa veramente In Italia? Direi proprio no, se non attraverso retoriche affermazioni sulla preoccupazione che il fenomeno desta a livello politico, cui non seguono i fatti.
Ho letto ultimamente sulla stampa che il Governo ha soppresso con la Finanziaria lo stanziamento di 103 milioni di euro per la fornitura gratuita dei libri di testo nella scuola dell’obbligo, previsto fino al 2007 ed esteso anche alle scuole secondarie in forme legate al reddito. Ora sembra, rassicurazione del Miur, che il finanziamento verrà ripristinato grazie ai soldi ricavati dallo scudo fiscale. Ma cosa succederà il prossimo anno, quando non si potrà attingere a questa risorsa?
Questo ulteriore taglio è l’ennesima dimostrazione di come la scuola venga, con pertinace costanza, progressivamente depauperata.
Parlare di tagli potrà apparire un argomento eccentrico rispetto al problema posto da Mauria. Non lo è, invece, perché i tagli incidono pesantemente sulla qualità della formazione e coloro che ne pagano le peggiori conseguenze sono bambini e giovani che non hanno alle spalle famiglie in grado, per cultura e mezzi finanziarie, di sopperire alle carenze dell’istruzione.