Piccole storie dentro la grande Storia.
Ma anche piccole storie per la grande Storia: testimonianze private da studiare come fonti di ricerca storica. L’antico intreccio tra le due dimensioni, fecondo tanto sul piano euristico quanto su quello ermeneutico, va arricchendosi oggi di un patrimonio che, seppure non nuovo né come fenomeno né come supporto materiale, è invece del tutto nuovo se inteso come fonte storica.
Questo patrimonio è l’Archivio nazionale del Film di Famiglia la cui salvaguardia è obiettivo prioritario dell’Associazione culturale bolognese Home Movies[1], costituita da professionisti dell’audiovisivo allo scopo di raccogliere, conservare e promuovere il cinema realizzato all’interno della famiglia prima dell’avvento del video e dunque valorizzare film di vacanza, di viaggio, riti sociali, ricorrenze pubbliche, appunti e diari filmati come testimonianze private della memoria della società italiana.
I film amatoriali risalgono alla nascita del cinema, ma grazie a tecnologie sempre più maneggevoli, si diffondono in modo rapido e relativamente capillare e tra gli anni Venti e gli Ottanta vengono a costruire un’ulteriore stratificazione memorialistica di alto valore antropologico e sociologico, nonché, talvolta, perfino filmico. E anche di alto valore storico?
Per rispondere a questa domanda, o almeno per cominciare a rispondere, il 10 novembre scorso, presso l’Istituto Storico Parri di Bologna, si è tenuta una giornata di studio dal titolo Il cinema privato, una nuova fonte per la Storia?, giornata promossa per l’appunto da Home Movies che opera in collaborazione con istituti di ricerca, università, archivi privati, associazioni internazionali – in Belgio, Olanda, Gran Bretagna, Francia, Canada – che hanno esperienze consolidate nel settore dello studio e della conservazione dei film amatoriali.
Come ha ricordato Luisa Cigognetti, responsabile della Sezione Audiovisivi dell’Istituto Parri di Bologna e moderatrice del seminario, in Italia il campo è ancora quasi inesplorato, ma dal 2008 è in corso una ricerca che coinvolge numerosi storici invitati a pronunciarsi su una serie di questioni teoriche e metodologiche alcune delle quali interpellano, o possono interpellare, anche chi si occupa sia di didattica della storia sia di didattica degli audiovisivi.
Pochi sono ancora, sempre in Italia, gli storici che studiano gli audiovisivi come fonte di ricerca storica – usati più spesso nella didattica della storia – e pochissimi coloro che lavorano sul film amatoriale inteso come fonte. Fonte con quali funzioni e quali peculiarità?
Alcuni storici lo ritengono funzionale solo alla storia sociale; altri, invece, reputano che possa essere fonte interessante in molti ambiti storiografici, la cui prassi intellettuale non si avvalga solo di materiali tradizionali e sia altresì aperta al confronto, anche scivoloso, con tipologie “testuali”inesplorate e per certi versi “ambigue”. Qualsiasi sia la posizione degli esperti, infatti, la fonte audiovisiva e il cinema amatoriale nello specifico impongono una domanda di fondo: come si interroga questo tipo di fonte? Che la ricerca sia antropologica o riguardi la storia della mentalità o altro, il problema della contestualizzazione della “frase” e dei “sintagmi” è cogente e centrale; in estrema sintesi: cambia o no il senso di una stessa immagine riproposta in contesti diversi? E se cambia, come e che cosa cambia?
E la presenza/assenza di informazioni “a corredo” cambia o no la percezione/interpretazione della fonte?
Un esempio concreto può forse chiarire meglio la delicatezza di queste domande: esiste un ricco e appassionante “Fondo Togni” che raccoglie alcuni decenni di film amatoriali della celebre famiglia circense; tra essi, le riprese di una partita di calcio tra Orfei e Togni. Ignorare o conoscere l’identità dei giocatori modifica la prospettiva di analisi della fonte? Quale e quanto peso può avere nell’analisi il feticismo della fonte? Quali e quanti criteri metodologici entrano in gioco nell’analisi della fonte che presenta, in quanto “supporto materiale”, sue precise peculiarità fisico-chimiche e ottiche? Una “copia positiva” stampata a rovescio o, ancor peggio, una copia digitale erronea, possono depistare in modo persino clamoroso il lavoro del ricercatore – sottolinea nel suo excursus storico con dovizia di esempi Luca Alessandrini[2].
E non è ancora tutto: questo studioso che stiamo così genericamente immaginando è un archivista? E’ uno storico? Le piste che deve seguire, le mappe metodologiche che deve consultare esigono che questo studioso sia un ricercatore “ibrido”? Oppure un ricercatore di tipo del tutto nuovo?[3]
E di seguito: che cosa conservare? Ad esempio, gli archivi televisivi debbono conservare tutto? E’ materialmente possibile? La risposta è negativa e perciò in molti Paesi europei esiste una legislazione che regola le decisioni degli esperti in materia.
Pierre Sorlin[4], intervenuto al convegno, giudica impossibile una conservazione totale e indifferenziata e collega l’esigenza di criteri della selezione alle “forme discorsive” della rappresentazione simbolica che ogni epoca chiama “Storia”. Sorlin parte da una considerazione: tra gli anni Trenta e gli Ottanta l’uso della cinepresa si è diffuso enormemente senza che a questo fenomeno si desse particolare importanza; perché oggi, invece, il fenomeno è diventato degno di tanto interesse? Seguiamo il ragionamento di Sorlin. Lo sguardo sul passato è radicalmente cambiato nel corso del tempo: la storia cerca di rispondere alla domanda “perché siamo qui?” e la risposta cambia in permanenza: quella medioevale è una “storia morale” che procede per exempla e in cui è difficile disgiungere la comprensione dell’evento dal giudizio sull’evento; nel Cinquecento la “storia del re” è la “storia del Paese”; nell’Ottocento la storia è “genealogia della nazione”. Oggi la nazione, il concetto stesso di “nazione”, è in crisi e la storia è soprattutto “storia del’individuo” o anche dell’”individuo nel suo gruppo”.
Questa prospettiva, secondo Sorlin, non è né migliore né peggiore delle precedenti, perché la storia è il modo in cui ogni società vede il proprio passato e perciò lo storico deve usare tutti i materiali disponibili per il suo lavoro, siano essi diari, fotografie, cinema amatoriale o altro ancora.
Ma che cosa è un film amatoriale? Con benevolmente, ma con “sguardo tecnico”, Sorlin classifica il film amatoriale come un prodotto di qualità spesso scadente il cui autore, a differenza del professionista, ignora “che cosa” si vedrà alla fine sullo schermo e ricorre in modo sconsiderato allo zoom perché pensa soprattutto all’oggetto da filmare.
I film amatoriali, secondo Sorlin, possono essere ricondotti a quattro tipologie ciascuna delle quali ben illustra l’idea di “storia dell’io nel suo gruppo”: la prima, i “film di famiglia” veri e propri in cui sussiste un rapporto di parentela tra l’operatore e le persone riprese; i “film di gruppo” in cui le gerarchie tra l’operatore e le
persone riprese sono più chiare; i “documentari del dilettante” in cui l’operatore è intenzionato a rappresentare anche il contesto, i cambiamenti sociale e ambientali in senso lato; infine il “film amatoriale che imita il grande cinema”, che si sforza di creare una linea narrativa e che tuttavia, quasi sempre, è indebolito in genere dall’assenza di attori professionisti.
Peraltro, sostiene Sorlin, per tutte e quattro le tipologie di film amatoriali si pone la questione dell’intreccio con il “grande cinema”: il cineamatore vede i film cosiddetti “finzionali”? Quali? Intende imitarne genere, registro, stile? Ne è semplicemente influenzato?
Come sempre è l’eloquenza dei “testi” a prenderci per mano e a fornirci una bussola, a fungere da richiamo…
Come un canto, il magnifico, rigoroso e perfino commovente montaggio che Mirko Grasso, Claudio Giapponesi e Paolo Simoni hanno realizzato selezionando materiali girati in 16mm tra il 1940 e il 1945 dall’allora giovanissimo Antonio Marchi[5], un grande e fino ad ora dimenticato intellettuale e regista emiliano di cui Home Movies sta curando l’archivio.
Come un canto…..mentre fuori campo imperversa la durezza della Grande Storia, in campo, in un sapiente bianco e nero spruzzato da brevi esperimenti a colori, sorride al suo piccolo Bernardo il poeta Attilio Bertolucci. Tout se tient?
[1] Archivio Aperto 24 ottobre – 10 novembre 2009, progetto della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e della Fondazione Carisbo in
collaborazione con la Sezione audiovisivi dell’Istituto Storico Parri e la Videoteca dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia-Romagna,
per la raccolta, il recupero e la digitalizzazione di pellicole amatoriali: www.homemovies.it – info@homemovies.it
[2] Luca Alessandrini, storico, direttore dell’Istituto Storico Parri di Bologna.
[3] A Bologna, presso il Dipartimento di Discipline Storiche, è stato istituito nell’a.a. 2009/10 un master in Comunicazione Storica che prepara figure
professionali nel campo della ricerca e della divulgazione storica anche mediante laboratori multimediali.
[4] Pierre Sorlin, professore ordinario emerito di Storia contemporanea presso l’Università di Parigi-Vincennes e di Sociologia dei media audiovisivi all’Università
Paris-Sorbonne Nouvelle. E’ uno dei primi studiosi, a livello internazionale, ad aver portato alla ribalta della ricerca storiografica il problema dello studio della storia
attraverso le fonti audiovisive. E’ autore di innumerevoli saggi tra cui in italiano: Cinema e identità europea, 1991; L’ immagine e l’evento: uso storico delle fonti
audiovisive, 1999; I figli di Nadar: il secolo dell’immagine analogica, 2001.
[5] Antonio Marchi (Parma 1923-2003) mosse i primi passi in campo cinematografico nel Cineguf di Parma negli anni della dittatura fascista e fu
attivo fino agli anni del grande boom economico, promuovendo incontri, scambi sculturali e stringendo forti amicizie intellettuali. Tra i sodalizi
certamente più importanti, quello con Luigi Malerba con il quale Marchi diresse Donne e soldati nel1955. Alla produzione prese parte
anche Bernardo Bertolucci, come sceneggiatore. Dopo l’università Marchi diede vita a due importanti iniziative: la rivista La critica cinematografica
e la fondazione di La Cittadella film, centro di produzione cinematografico a Parma. Questi due nuclei fecero della città un luogo di incontro di intellettuali provenienti da tutto il Paese. Con il passare del tempo e la sua affermazione nel campo documentaristico Marchi intensificò, tra l’altro, i rapporti con Michelangelo Antonioni, Giorgio Bassani, Pier Paolo Pasolini, Mario Soldati, Guido Piovene, Anna Banti, Roberto Longhi e, soprattutto, Attilio Bertolucci.