Ernesto Galli della Loggia, in un articolo: “Scuola Così la democrazia diventa catechismo”, pubblicato sul Corriere della Sera (8 novembre 2009) , si scaglia letteralmente contro l’insegnamento della Costituzione, previsto da quest’anno in tutti gli ordini di scuola, in quanto non pensato in termini di conoscenza di un contenuto storicamente determinato, ma come percorso educativo fondamentale per la formazione morale e civica degli allievi.
L’articolo ha suscitato, analizzato da diverse prospettive, numerose reazioni contrarie. Anche in Voci si può leggere la presa di posizione di Andrea Leccese ( Per e sulla Costituzione – La Costituzione, una “carta politica”? in Contributi novembre 2009).
Io, scorrendolo, mi sono fermata stupefatta di fronte a questo passaggio, che, mi sembra non abbia attirato commenti:
“Ma ciò che in questo modo si perde – che in sostanza anzi sembra essere già perduto – è qualcosa di decisivo: è né più né meno che la consapevolezza del valore moralmente educativo del sapere in quanto tale. L’ idea, cioè, cara a tutta la tradizione umanistica occidentale, anzi cuore stesso di tale tradizione, che la Cultura, in quanto rivolta costitutivamente alla Bellezza e alla Verità, è in sé e per sé, in quanto tale, matrice decisiva di raffinamento etico e di crescita civile: non si può più essere barbari, insomma, una volta che si apra Virgilio o che ci si ponga a studiare l’algebra.”
Veramente noi, oggi, possiamo ancora affermare che i saperi in sé e per sé producono “raffinamento etico” e “crescita civile”?
“Leggere Eschilo o Shakespeare – non parliamo di “insegnarli” – come se i testi, come se l’autorità dei testi sulla nostra vita, fossero immuni dalla storia recente, è analfabetismo sottile ma corrosivo. […] Noi veniamo dopo. Adesso sappiamo che un uomo può leggere Goethe o Rilke la sera, può suonare Bach e Schubert, e quindi, il mattino dopo, recarsi al proprio lavoro ad Auschwitz. Dire che egli ha letto questi autori senza comprenderli o che il suo orecchio è rozzo, è un discorso banale e ipocrita. In che modo questa conoscenza pesa sulla letteratura e la società, sulla speranza, divenuta quasi assiomatica dai tempi di Platone a quelli di Matthew Arnold, che la cultura sia una forza umanizzatrice, che le energie dello spirito siano trasferibili a quelle del comportamento?” (1)
Credo che la riflessione di Steiner spazzi via quell’affermazione così sicura, anzi quasi presuntuosa, sul potere salvifico della cultura.
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Nota
1) G. Steiner, Linguaggio e silenzio. Saggi sul linguaggio, la letteratura e l’inumano, Milano, Garzanti, 2001, trad. di R. Bianchi, pp. 9-10.