Con lucida analisi Fiorenza Manzalini, specializzanda alla Ssis di Modena in Discipline giuridiche ed economiche, al termine del suo percorso individua i punti di criticità della struttura. È il punto di vista di chi si impegna per imparare ad insegnare e si accorge delle opportunità sprecate, pur mantenendo una positiva determinazione sul suo futuro mestiere.
Per le norme richiamate nel testo che segue si vedano, in questa sezione, i documenti raccolti in “Quale formazione per gli insegnanti?”
Una testimonianza di segno parzialmente diverso, ad opera di Rossana Gualtieri, può essere letta in questa sezione (con il titolo “Imparare ad insegnare”).
la mia iscrizione alla Ssis
È risaputo che la Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario (Ssis) costituisce il primo tentativo serio di opportunità formativa per insegnare a insegnare. Per giunta gli obiettivi formativi definiti dal decreto istitutivo le assegnano di fatto un ruolo strategico per il rinnovamento della scuola.
La mia iscrizione alla Ssis, nonostante tre altre abilitazioni e tredici anni di esperienza di docenza, è stata motivata, oltre che da questa duplice consapevolezza, dall’amore per l’economia politica e dalla ferma intenzione di arrivare ad insegnarla. L’elaborazione della tesi di laurea in economia sul pensiero di Amartya K. Sen – grazie al fondamentale apporto del mio relatore, il Prof. Andrea Ginzburg – aveva consolidato la consapevolezza della funzione dell’insegnamento dell’economia per la mediazione di strumenti di formazione alla democrazia e alla libertà. La collocazione dell’indirizzo economico e giuridico presso la medesima facoltà aveva quindi ragionevolmente acceso grandi aspettative.
i punti critici
L’esperienza ha però rivelato diversi punti critici. Richiamo solo i più rilevanti.
Il primo, e più complessivo. L’autoreferenzialità di ogni struttura universitaria ha determinato varie difficoltà nel riconoscimento dei crediti che mi parevano dovuti non solo per l’esperienza maturata ma anche per le tre precedenti abilitazioni.
La seconda criticità ha riguardato l’Area 2 (didattica disciplinare) che solo occasionalmente ha compreso “attività didattiche finalizzate all’acquisizione di attitudini e competenze di cui all’allegato A, relative alle metodologie didattiche delle corrispondenti discipline”, ma si è risolta spesso in un ripasso di quanto già studiato nel percorso universitario.
La terza criticità riguarda la non completa comprensione, da parte di chi ha organizzato la scuola, dell’importanza e del ruolo dell’Area 3 (il laboratorio disciplinare). Infatti, questa Area avrebbe dovuto consistere nella “analisi, progettazione e simulazione di attività didattiche di cui alle aree 1 e 2 […], con intervento coordinato, di docenti di entrambe le aree”, ma si è risolta spesso nella mera identificazione con l’Area 2 (didattica disciplinare).
l’esperienza del tirocinio
Il momento esperienziale del tirocinio (Area 4) è stato, invece, quanto di più formativo ho appreso alla Ssis anche e soprattutto per merito della lungimiranza e dell’impegno del supervisore e della grande disponibilità ed esperienza del docente ospitante. Ma non tutte le esperienze di tirocinio sono state, forse, altrettanto significative. In generale, infatti, l’organizzazione complessiva della Ssis – anche per il fatto che al tirocinio diretto vengono attribuite ben poche ore – ha portato alcuni a concepire il tirocinio come momento conclusivo del percorso formativo, momento in cui si deve mettere in “pratica” ciò che si è appreso in “teoria” nelle altre aree.
Per “imparare ad insegnare” non basta però possedere il solo “sapere teorico” ma è necessario anche un “sapere pratico” e, spesso, si può imparare proprio dall’esperienza sul campo, supportati dai fattivi contributi dei docenti di tutte le aree. I due momenti del tirocinio – momenti teorici con valenza epistemologica e momenti pratici con valenza metodologica – hanno finalità proprie specifiche e non dovrebbero essere mai concepiti come separati o in contrapposizione, ma in correlazione, in quanto è necessario un costante “dialettico incrocio tra la teoria e la prassi”.
l’assenza di coordinamento
Per ultimo, fra questi punti, lo svilimento dell’Area 1 (formazione per la funzione docente) a una mera sequenza di esami puramente teorici e indistinguibili da quelli per una laurea di primo livello: Pedagogia, Didattica generale, Psicologia, Sociologia e Laboratorio didattico-pedagogico.
In questa area è emersa non solo la grande disaggregazione dei saperi, ma anche una disattenzione alla necessità di ricondurre tutti questi “saperi” ad un’unitarietà finalizzata all’insegnamento concreto e quotidiano con ragazzi fra i quindici e i diciannove anni.
Soprattutto, la carenza maggiore mi pare si situi nel fatto che, mancando un coordinamento complessivo, le quattro aree non hanno potuto interagire tra loro, e per ciò è stata negata la possibilità di tentare di formare insegnanti che abbiano almeno qualche opportunità di rispondere al bisogno, di cui H. Gardner ci ha fornito una perfetta descrizione:
“Noi abbiamo bisogno […] di cittadini capaci di riflettere storicamente sulla società a cui appartengono e di mettere a frutto le proprie conoscenze storiche e politiche nel momento in cui dovranno decidere come votare a un referendum e come scegliere tra candidati con filosofie e orientamenti politici differenti; di cittadini capaci di riconoscere moralità e bellezza (al pari della loro assenza) e di coltivare quei valori nella propria vita”.
(Howard Gardner, Sapere per comprendere, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 233)