Brescia, Museo Santa Giulia,fino al 27 giugno 2010
270 opere, provenienti dai maggiori musei del Perù, ripercorrono l’intera storia delle civiltà dell’oro in uno dei principali appuntamenti delle celebrazioni in Italia del Bicentenario dell’indipendenza delle colonie americane della Spagna (1810-2010).
La mostra, articolata in dieci sezioni, si snoda lungo l’intera storia delle civiltà precolombiane, fiorite in Perù dal 1500 a.C. fino all’arrivo degli Spagnoli nel 1532.
Ci viene proposta come un viaggio verso un mondo nuovo: la gigantografia di onde marine che s’infrangono verso un paesaggio rupestre è il limite, la linea di confine che dobbiamo superare purificati dalla visione occidentale della realtà, possiamo chiudere gli occhi e trasportare la nostra mente, i nostri sensi in un mondo aborigeno dove a condurci saranno suoni, colori, odori, sensazioni, proprietà, difetti o qualità del mondo umano, animale, vegetale o minerale.
Un viaggio attraverso gli aspetti meno conosciuti di questi popoli, con la ricostruzione dell’ambiente, dei riti che in esso si svolgevano fino a darci prospettive mitiche di tale realtà ed a ravvivare visioni leggendarie.
Nella prima sala buia, a luci soffuse, ci accolgono le ombre di Re sontuosamente ornati d’oro: copritesta, narigueras, collane, pettorali, corone, proteggi volto, orecchini, collane, bracciali Impongono rispetto ed esprimono sacralità in ogni ornamento, atto a rendere la condizione semidivina dei re.
Il metallo diventa il filo conduttore del nostro percorso
Le caratteristiche cromatiche, la forma del manufatto, il suono che esso emette, il lampo o il fulgore che emana oltre che le scene in esso sbalzate o incise, ci consegnano a mondi cosmici popolati da divinità e da antenati soprannaturali con i quali i riti consentono intrattenere relazioni.
Il significato reale degli oggetti esposti va oltre l’espressione estetica, per esprimere un messaggio culturale e spirituale. Le culture native americane osservavano, rispettavano e veneravano la natura e il mondo circostante. Credenze, riti, miti e attività quotidiane erano governati da invisibili forze che regolavano l’ordine dell’universo e degli uomini. A tali forze si rendeva omaggio poiché erano fonte di sostentamento quotidiano, guarivano dalle malattie o proteggevano dai nemici. Il mondo circostante era interamente connesso con la natura (Pachamama), a cui si tributava rispetto e si rivolgevano suppliche; a quella stessa natura le culture aborigene si rivolsero per plasmare oggetti che con eccezionale abilità esse seppero mutare in opere d’arte.
La genialità degli orafi permise tra motivi e sfumature diverse, di realizzare codici simbolici grazie all’uso dei colori, dei suoni, del fulgore e brillantezza degli oggetti volti a rimandare costantemente il pensiero ai quattro elementi che muovono l’Universo: l’aria e l’acqua (suono, movimento e libagioni); il fuoco e il suo opposto, cioè la terra (brillantezza, scintillio e colore). Le qualità di questi opposti, in perfetto equilibrio tra loro, permeavano interamente i modelli cosmovisionali.
Siamo in grado ora di avvicinarci alla spiritualità delle popolazioni peruviane, che permeava ogni aspetto della loro vita quotidiana e che garantiva un continuo rapporto con le divinità del Cielo (Hanan Pacha), il livello terrestre (Kay Pacha) e l’Inframondo (Ukhu Pacha), il mondo sotterraneo, mondi “altri” che custodivano tutte le cose animate e inanimate e la conoscenza del passato e del futuro. Continui rimandi ai quattro elementi che muovono e governano l’Universo tentano d’interpretare i misteri dell’esistenza e il significato della vita. Tutti i fenomeni naturali che l’uomo non riusciva a dominare erano attribuiti ad esseri o spiriti divini a cui, tramite offerte rituali o sacrifici, si chiedeva di concederne il governo siano il fuoco, la pioggia, il sole e la fertilità.
Il metallo era il materiale maggiormente utilizzato come tributo alle divinità sotto le forme tradizionali di “pagamento” rituale (pago) e/o di offerte in tutte le fasi della produzione metallurgica: dalle attività estrattive (con riti di pago alla terra), nei centri di lavorazione dei metalli e nei laboratori di oreficeria con offerte veneravano e tributavano culti alle miniere, (copa), ai metalli, ( mama), e ai minerali corpa) indicavano con il termine strappati alla Madre Terra. È oggi comune il rinvenimento nelle miniere di resti di pagos alla Madre Terra sotto forma di foglie di coca, chicha (birra di mais fermentato) e feti di lama.
Lo scintillio e la lucentezza che emanano da un manufatto d’oro dovevano ricordare, all’uomo che lo guardava, l’esistenza di un Dio Sole che dava la vita, faceva crescere e germogliare i semi e, in unione con una Luna sua sposa e sorella, reggeva e regolava i cicli del calendario agricolo. Il colore argenteo evocava sia la dea Luna sia il mare o la divinità del mare, la Mama Cocha, madre di tutte le acque, che fossero laghi, lagune, fiumi o sorgenti, questo mare che offriva nutrimento e vita e che, come il Sole, qualora i suoi ordini non fossero stati rispettati avrebbe anche potuto distruggere o devastare. Gli oggetti preziosi diventavano simboli e metafore della concezione della vita in quanto portatori di un’ideologia ancestrale, assolvevano un ruolo di mediazione tra il divino e l’umano-creativo. Secondo questa visione, il metallo “fa germogliare” o “feconda” la terra, nasce e viene estratto dalle miniere, si sviluppa e si trasforma in oggetti, si ammala con l’ossidazione, muore quando perde colore e lucentezza e rinasce tornando alla terra nelle sepolture convertendosi in minerale. I modelli cosmovisionali indigeni concepirono il metallo come un essere vivente che si trasforma mediante i diversi processi tecnologici e metallurgici della sua produzione. Esso non era un bene che servisse per comprare o vendere prodotti secondo le modalità previste dalle strutture economiche del Vecchio Mondo. Il cronista meticcio Garcilaso de la Vega riporta al riguardo: «[…] non vendevano né compravano nulla con l’oro o con l’argento, né con esso pagavano gli uomini che andavano in guerra.
Siamo pronti per le sale dedicate alle tematiche religiose.
Presso ogni società-comunità peruviana la vita, la morte, la malattia, i fenomeni naturali o le forze soprannaturali sono interpretati attraverso miti e inscenati nei rituali diretti da sacerdoti-sciamani o alti dignitari, i quali a loro volta si pongono in relazione con le forze soprannaturali o con altri mondi extraumani che regolano il mondo terreno.
La transizione da una vita nomade permanente a una più stanziale e con fenomeni migratori solo ciclici, in funzione a momenti di caccia o raccolta, determinò la nascita di luoghi sacri, che raccoglievano i valori di memoria collettiva e di ritualità.
La vera rivoluzione nel campo del pensiero religioso avvenne proprio con la nascita della figura dello sciamano, a cui fu attribuita la capacità di poter comunicare con le divinità e gli spiriti degli antenati.
All’interno di ogni collettività, gli sciamani divennero i custodi incaricati di conservare, trasmettere e rinnovare le rappresentazioni cosmogoniche grazie alle loro cognizioni sulla mitologia, l’interpretazione del passato, l’astronomia, i rituali e l’uso delle piante medicinali.
Con i loro cerimoniali fatti di parole, gesti e oggetti sacri, eseguivano una serie di attività volte ad organizzare rituali nei luoghi sacri, huacas, prima erano i contesti naturali montagne, fiumi, laghi, o spazi vicini a fonti d’acqua permanente, in cui talvolta l’uomo lasciava traccia del suo passaggio con scene e simboli incisi nella roccia. In seguito al potere riconosciuto agli sciamani si crearono, per loro volere, i santuari, dove organizzare rituali collettivi. A sciamani, sacerdoti e governanti, veniva attribuita un’origine divina, potenziata dalla capacità della trasmissione orale delle tradizioni ancestrali e l’utilizzazione di utensili elaborati appositamente per favorire la comunicazione con il mondo ultraterreno.
Le danze erano vissute come luogo d’incontro comunitario tra terra e cielo. I riti che si celebravano in onore della Terra erano strettamente relazionati a quelli tributati alla Luna, giacché almeno nel periodo Inca entrambe erano concettualizzate come esseri femminili associati alla fertilità.
Le opere in oro, argento, bronzo e rame, oltre a rappresentare il più numeroso complesso di reperti in metalli preziosi mai esposto al mondo, consentono di scoprire come quei tesori abbagliarono i conquistadores e per secoli hanno fatto del Perù il simbolo stesso della ricchezza.
Lasciamo il labirinto d’oro e la magia in esso profusa … ancora sospesi tra la gratitudine a quanti hanno consentito il nostro appuntamento con tesori finora mai esposti al di fuori dei confini nazionali e l’amarezza di quanta sofferenza l’incomprensione e lo scontro fra culture diverse ha provocato 500 anni fa, quando invece sarebbe stato arricchente un punto di incontro.
NOTA: La curatrice della mostra è Paloma Carcedo de Mufarech, studiosa esperta d’arte precolombiana della Pontificia Universidad Católica del Perú di Lima; i co-curatori sono Antonio Aimi, dell’Università degli Studi di Milano, e Giuseppe Orefici, direttore del Centro Italiano Studi e Ricerche Archeologiche Precolombiane. L’Italia è presente in modo importante negli scavi in Perù, anche con una spedizione bolognese.