“L’interruzione del libro interrompeva il mio scorrere d’essere”
(Ornela Vorpsi, Il paese dove non si muore mai)
Ricorrerò a testi e fonti diverse della cultura francese per sottolineare il ruolo che può svolgere la lettura nella vita di ognuno e presentare così un approccio alla parola scritta che lasci nel lettore una traccia importante e lo aiuti a capire meglio se stesso e il mondo.
Lo si sa, sono un’insegnante, anche se ora non più in una classe tradizionale, e, proprio per questo, non metto mai da parte quello che questo mio mestiere mi ha insegnato e, per dirlo, rispondo a due domande:
1 Perché è essenziale la scuola?
2 Qual è il ruolo dell’insegnante?
Alla prima domanda rispondo così: La scuola ha il compito di favorire, sviluppare, consolidare un reale apprendimento negli alunni, contribuendo al raggiungimento della loro autonomia: compito non certo facile saper cogliere “l’essence et la substance” delle cose, come scriveva Montaigne in uno dei suoi Saggi sull’educazione.
Ecco la mia risposta alla seconda domanda: l’insegnante non solo stimola la curiosità, motiva i suoi alunni, ma anche e soprattutto fornisce loro gli strumenti indispensabili per saper leggere un testo o…il mondo. Ambizioso? Certo sì, però ciò che conta per docente e discente è “une tête bien faite plutôt qu’une tête bien pleine” (Montaigne)
André Maurois in Un Art de vivre espone le sue teorie sulla lettura per giungere a sottolineare la sua tesi sul migliore approccio alla parola scritta. (traduzione mia)
“La lettura-vizio è propria dei lettori che trovano in essa una sorta di oppio per liberarsi del mondo reale e tuffarsi in un mondo immaginario. Impossibile per costoro restare un minuto senza leggere; qualsiasi cosa va bene; apriranno a caso un’enciclopedia e leggeranno un articolo sulla tecnica dell’acquarello con la stessa voracità di uno sulle macchine da guerra. Soli in una stanza, si precipiteranno sul tavolo dove si trovano riviste, giornali e si getteranno su un qualsiasi articolo pur di evitare di abbandonarsi ai propri pensieri. Nella lettura non cercano idee, fatti, ma uno scorrere continuo di parole per mettere a tacere il mondo e la loro mente. Di quanto letto resta ben poco di sostanziale, nessuna gerarchia di valori tra le varie fonti d’informazione. La loro lettura è interamente passiva, la subiscono piuttosto che interpretarla, non le fanno spazio nella loro testa, non la fanno propria.
La lettura-piacere è già più attiva. Legge per il piacere personale l’appassionato di romanzi che cerca nei libri impressioni di bellezza, un risveglio e un’ esaltazione dei sentimenti, infine avventure che la vita non gli accorda. Legge per il piacere personale chi, nei moralisti e nei poeti, ama ritrovare, espresse con perfezione maggiore, le proprie osservazioni, le sensazioni da lui stesso provate. Legge per il piacere personale, infine, chi, senza studiare un certo periodo storico definito, si compiace nel constatare l’identità, nel corso dei secoli, dei tormenti umani. Questa lettura-piacere è sana.
Infine, la lettura-lavoro è quella di chi, in un libro, cerca precise conoscenze e materiali di cui ha bisogno per strutturare, completare una costruzione che intravede a grandi linee. La lettura-lavoro deve farsi, almeno che il lettore non sia dotato di una straordinaria memoria, con una penna o una matita in mano. È inutile leggere se si è costretti a rileggere ogni volta che si vorrà ritornare su un certo argomento. Se mi è consentito citare il mio esempio, quando leggo un libro di storia, o un qualsiasi libro serio, scrivo sempre sulla prima o l’ultima pagina qualche parola che sottolinea gli argomenti trattati, poi le pagine che rinviano ai passaggi che desidero poter consultare, in caso di bisogno, senza dover rileggere l’intero libro”.
Brevi riflessioni
Innanzi tutto vorrei sottolineare l’immagine del testo: tre paragrafi ben strutturati per dare al lettore attento la possibilità di esprimere un’ipotesi sulla struttura del contenuto articolato in tre parti. Inoltre, passando alla lettura, si noterà che all’inizio di ogni paragrafo ci sono le parole chiave, da me riprese in grassetto per sottolinearle. Ho scritto inoltre in corsivo la conclusione dei primi due paragrafi perché uno scrittore che sa servirsi delle parole sottolinea le parti su cui attirare l’attenzione del lettore all’inizio e alla fine di ogni paragrafo, come in questo caso. Infine per ognuno dei tre approcci l’autore sottolinea gli aspetti che lo caratterizzano:
- La lettura-vizio è interamente passiva; non resta alcuna traccia nel lettore; serve solo a sfuggire alla realtà che si rifiuta, serve a non pensare.
- La lettura-piacere è più attiva; il lettore cerca conferme alle proprie attese, ritrova emozioni e sentimenti propri , espressi in modo perfetto; coglie, al di là del contesto in cui il libro si situa, un filo che unisce gli uomini di qualsiasi epoca…Questa lettura è sana.
- La lettura-lavoro – quella che Maurois fa propria – serve a fissare i punti chiave del testo, a situarlo nel contesto al fine di conservare una traccia utile per conoscere, attraverso il libro letto, un pensiero, un autore, una visione del mondo che, come un puzzle, ci aiuterà nella vita, insieme alle esperienze dirette che vivremo o che abbiamo vissuto. Maurois ci suggerisce di farla con una matita o una penna in mano.
La lettura-lavoro è quella che seguo e che ho cercato d’insegnare ai miei tanti alunni, senza, però, dimenticare l’insegnamento di uno scrittore contemporaneo, che molti conosceranno, Daniel Pennac, espresso nel suo libro sulla lettura Come un romanzo – Idee Feltrinelli:
“Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo “amare”… il verbo “sognare”…
Naturalmente si può sempre provare. Dai, forza: “Amami!” “Sogna!” “Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere!”
– Sali in camera tua e leggi! –
Risultato?
Niente.
Si è addormentato sul libro.”
La storia della letteratura
In un breve passaggio della prefazione di un corposo libro di Storia della Letteratura francese l’autore spinge il suo pubblico di lettori a non trascurare l’essenza stessa della letteratura: la lettura delle opere al fine di cogliere nel profondo le idee, le riflessioni, gli insegnamenti, le emozioni che le migliori menti del passato, ma anche del presente, hanno voluto, vogliono trasmetterci.
“[…] In questi ultimi tempi si è falsato l’insegnamento e lo studio della LETTERATURA. La si è presa per una materia del programma che deve essere percorsa, sorvolata , divorata, bene o male, il più velocemente possibile per non essere respinto: salvo poi, come per tutto il resto, non pensarci più per tutta la vita. Così volendo insegnare tutto, imparare tutto, senza ammettere nessuna ignoranza parziale, si giunge ad un sapere letterale senza virtù letteraria. La letteratura si riduce a una secca collezione di fatti e di formule, adatte a disgustare le giovani menti…
Questo errore pedagogico dipende da un altro ben più grave e generale. Per una funesta superstizione, di cui la scienza stessa non è responsabile, si è voluto imporre la forma scientifica alla Letteratura: si è così giunti a prendere in considerazione solo il sapere positivo. Mi dispiace di dover citare qui Renan (1)come uno dei maestri dell’errore che sottolineo: Renan ha scritto nell’ “Avvenire della scienza”/…/: “Lo studio della Storia della Letteratura è destinato a sostituire in gran parte la lettura diretta delle opere letterarie” Questa frase è la negazione stessa della letteratura. Non la lascia sussistere che come un ramo della Storia, storia dei costumi o storia delle idee.
[…]Per la letteratura come per l’arte, non si può eliminare l’opera, depositaria e rivelatrice dell’individualità.
[…]La letteratura non è oggetto di sapere: è esercizio, gusto, piacere. Non la si sa, non la si impara, la si ama. Le parole più vere che siano state dette sulla letteratura sono quelle di Cartesio: la lettura dei buoni libri è come una conversazione che si intratterrebbe con le migliori menti dei secoli passati, una conversazione in cui riceveremmo il meglio delle loro idee”. (Gustave Lanson, Histoire de la littérarure francaise, avant-propos, trad. G.Corchia)
E per poter godere di un simile dono credo che l’approccio suggerito da André Maurois sia il più efficace
Letteratura e persona
Les Mots è un’opera autobiografica scritta nel 1963 dal filosofo francese Jean Paul Sartre sulla sua infanzia e l’importanza della lettura per giungere alla scrittura. Il libro è formato perciò da due parti: lire; écrire. Per questo libro gli fu assegnato il Premio Nobel della Letteratura, che l’autore rifiutò di ricevere per tema di essere trasformato in un’istituzione ufficiale. Prendo alcuni passaggi, molto brevemente, traducendoli in modo affrettato dal francese per sottolineare l’importanza dei libri nella formazione della persona.
Ancora bambino, per attrarre l’attenzione dei suoi e spingerli a insegnargli l’alfabeto, Jean-Paul si fece sorprendere un giorno nascosto in uno sgabuzzino con un libro in mano: il suo grande desiderio era riuscire ad animare le lettere che sfilavano sotto i suoi occhi, per lui voci essiccate, come racchiuse in un erbario, voci invece vive per il nonno che gliele faceva ascoltare.
Appreso l’alfabeto, passò lunghe ore con un libro che conosceva a memoria, “Sans famille” di Hector Malot. Giunto alla fine ormai sapeva leggere:
“Ero folle di gioia: mie quelle voci essiccate nei loro piccoli erbari, quelle voci che il nonno rianimava con lo sguardo, che sentiva e che io non sentivo! Le avrei ascoltate, mi sarei riempito di discorsi eleganti, avrei saputo tutto. Mi lasciarono vagabondare nella biblioteca, diedi l’assalto alla saggezza umana. È ciò che mi ha fatto. Più tardi ho sentito spesso gli antisemiti rimproverare gli Ebrei d’ignorare le lezioni e i silenzi della natura; rispondevo: «In questo caso, sono più ebreo di loro». I ricordi densi, la dolce spensieratezza delle infanzie contadine , li cercherei invano nel mio passato. Non ho mai grattato la terra, né cercato nidi, non ho erborizzato, né lanciato pietre agli uccelli. Ma i libri sono stati i miei uccelli, i miei nidi, i miei animali domestici, la mia stalla, la mia campagna; la biblioteca era il mondo preso in uno specchio; ne aveva lo spessore infinito, la varietà, l’imprevedibilità.” (traduzione G.Corchia)
La biblioteca , specchio del mondo, con la stessa imprevedibilità, profondità, varietà infinita; le parole, voci vive e non mummificate, tutto questo fa dire a Jean-Paul Sartre: « È ciò che mi ha fatto »
Il lettore e la sua consolazione
È giunto il momento di dare la parola ad Amos Oz, uno scrittore nei cui confronti sono particolarmente debitrice. Nel capitolo 5 del suo libro Una storia di amore e di tenebra (Feltrinelli) l’autore chiama in causa direttamente il lettore, il cattivo lettore e il buono. Così scrive:
“ E allora quanto c’è di autobiografico, nelle mie storie, e quanta invenzione, invece?
Tutto è autobiografia […] benché non confessa. Ogni storia che ho scritto è un’autobiografia, nessuna è una confessione. Il cattivo lettore nutre una costante ansia di sapere, subito e immediatamente “che cosa è successo in realtà”. Qual è insomma la storia dietro la storia. […] .
Il cattivo lettore pretende da me che speli per lui il libro che ho scritto […].
Il cattivo lettore è insomma appagato dal fatto che il grande Dostoevskij, proprio lui, fosse vagamente sospettato di una torbida propensione a rapinare e poi assassinare anziani, mentre William Faulkner era certamente incline all’incesto, e Nabokov aveva rapporti con minorenni […].
[…] lo spazio che il buon lettore preferisce ricavarsi mentre legge non è quel terreno che sta fra lo scritto e il suo autore, bensì fra lo scritto e noi stessi: “Quando Dostoevskij era ancora studente, avrà davvero ucciso e derubato vecchie vedove?” Prova tu, invece, lettore, a metterti nei panni di Raskolnikov, per sentire il terrore e la disperazione e la meschinità bruciante frammista a un’arroganza napoleonica, e la megalomania e la febbre della fame e la solitudine e lo spasimo e la stanchezza insieme alla nostalgia della morte, per tentare un paragone (sui cui esiti si serbi il segreto), non fra i personaggi della storia e gli scandali scavati nella vita dell’autore, bensì fra i personaggi della storia e l’io di te, quello segreto, quello pericoloso e disgraziato, folle e criminoso, la creatura spaventosa, insomma che tieni imprigionata sempre nel profondo di te stesso, nella cella d’isolamento più buia, così che nessuno al mondo possa mai sospettarne l’esistenza – né i tuoi genitori, né i tuoi affetti, perché altrimenti scapperebbero via in preda al panico, come si fugge da un mostro. […]. Così Raskolnikov stempera un poco l’onta e la solitudine di quella cella d’isolamento in cui ognuno di noi è costretto a condannare all’ergastolo il proprio prigioniero interiore. Questo è il potere consolatorio dei libri, di fronte al dramma dei nostri più inconfessabili segreti: non solo del tuo, caro amico mio, perché in fondo siamo tutti come te: nessun uomo è un’isola, piuttosto siamo tutti delle penisole, circondate quasi interamente da un’acqua nera, ma comunque collegate alle altre penisole. […]
E tu non domandare: che, sono proprio fatti veri? È così, lo scrittore? Domanda a te stesso. Delle cose tue. Quanto alla risposta, puoi serbarla tutta per te.”
Penso che questo brano possa aiutarci a capire qual è il potere consolatorio dei libri: leggere nel profondo noi stessi, cogliere gli aspetti più segreti, capire le fragilità che ci caratterizzano; forse questo ci aiuta a non sentirci soli e abbandonati e, nel Raskolnikov che può nascondersi in noi, trovare anche la forza per trattenerlo nel profondo, per evitare di sbagliare, d’inciampare, di cadere rovinosamente.
E, sempre nella parola scritta, potremo anche trovare la luce che pure si nasconde in noi, come in queste poche righe che Amos Oz ci regala:
“Il sole è già tramontato oltre le mura del campo Schneller ma il cielo non voleva lasciarlo andare, l’ha trattenuto con le unghie riuscendo così a strappargli una scia variopinta e adesso osserva il suo bottino, usa due o tre nuvolette come manichini, s’avvolge di luce come un manto e poi se ne spoglia e guarda come gli stanno al colletto le sfumature verdi e come s’accostano le strisce di bagliore quasi rosso all’aura viola celeste e sulla lunghezza poi quelle briciole d’argento che tremano come il fremito nell’acqua di un branco di pesci che scatta appena sotto. Anche qualche sprazzo di rosa viola e verde limone, poi tutto si toglie e indossa una cappa di splendore rossastro che cola lava torbida di luce purpurea ma basta un momento e leva anche quello e mette un’altra tonaca color della carne scoperta, d’un tratto trafitta e ferita e maculata, tre o quattro fiumi di sangue potente e bordi scuri che ormai si raccolgono fra le pieghe del tessuto nero e ora niente più altezza su altezza, è un profondo del profondo, come un abisso d’aldilà che si apre e scuote i firmamenti, né sopra né sotto e per chi osserva supino capovolto tutto il cielo è un abisso e per chi osserva supino più supino non è, flotta in alto e poi precipita casca come una pietra giù sul firmamento di velluto. Tu questa sera non la dimenticherai mai: non hai che sei, forse nemmeno sei anni e mezzo ma per la prima volta nella tua piccola vita ti si è aperto qualcosa di immenso e tremendo, qualcosa di grave e di severo, qualcosa che si apre all’infinito sino all’infinito e viene su di te ed è immenso muto e penetra e ti spacca tutto d’un tratto, ti spacca in modo che anche tu per un momento sei come più largo e profondo di te stesso e con una voce che non è la tua ma forse è proprio la tua che avrai fra trenta, quarant’anni, una voce imperativa e categorica che ti comanda di non dimenticare mai nulla di questa sera: ricorda e serba questi odori, ricordane il corpo e la luce, ricorda gli uccellini le note del pianoforte le grida dei passanti e tutte le sfumature di cielo cangiante sotto i tuoi occhi da un orizzonte all’altro e tutto per te, tutto solo per gli occhi di chi osserva.”
Ecco un’immagine di profonda, vibrante partecipazione allo spettacolo della natura, da non dimenticare mai soprattutto quando la sofferenza, la morte ci schiacciano. E qui possiamo sentirci vicini ad Amos Oz che vive da sempre in una realtà spesso di tragedia…
di Giovanna Corchia
Il libro non è che una porta sulla vita.
Leggere, perciò, non è uno sterile esercizio della mente, ma uno strumento di conoscenza, da coniugare con il nostro (piccolo, grande?) bagaglio personale.