Il ministro Ignazio La Russa ha pensato bene, per “avvicinare i giovani ai valori”, di promuovere dei corsi teorico-pratici nelle caserme (previsti dalla legge n. 122 dello scorso 30 luglio). Giancarla Codrignani in due articoli successivi, che riportiamo, prende decisamente posizione contro tale iniziativa.
CI SI E’ MESSA ANCHE LA LOMBARDIA
27 settembre 2010
Una delle caratteristiche più gravi della leva era quella dell’educazione alla disciplina: potevi non essere idiota, ma lo diventavi se un qualunque superiore-per -definizione ti imponeva di buttare a terra e raccogliere di nuovo le foglie cadute nel cortile della caserma che avevi appena ramazzato e chiuse negli appositi sacchi. Era anche in uso nei licei l’apparizione prima della maturità di inviati delle FFAA per propagandare la vita militare, ma il costume decadde per la totale improduttività dell’impresa.
Ignazio La Russa – che, dio mi perdoni, ma mi fa diventare lombrosiana, perché quando lo vedo non posso evitare di pensare che il connotato fascista sia genetico – si è inventato la mininaja, un piano di inserimento nelle strutture militari di quattromila ragazzi per brevi stage “formativi” nelle caserme. Per mantenere il progetto – bocciato in Parlamento come parte del decreto sulle “missioni” all’estero – il ministro ha reperito venti milioni di finanziamento inserendolo nella manovra finanziaria. Io sono antimilitarista, ma comprendo le lagnanze dei militari che sentono quei venti milioni sottratti alle loro esigenze. Inoltre, come ulteriore intervento democratico, ha tagliato il bilancio, già magro, della protezione civile.
Non tutti sanno che cinque anni fa, quando finì il servizio militare obbligatorio, i giovani che prestavano servizio civile erano 56.000, mentre oggi non arrivano alle dieci migliaia. L’indifferenza di fronte a questi dati è dovuta anche alla scarsa conoscenza diffusa circa ciò che rappresenta il volontariato che, come dice la parola, è proprio di chi sa che il bisogno sociale è illimitato e che le strutture sociali non lo esauriscono, mentre il Terzo settore e il No-profit (dietro cui spesso c’è il “profit”), sono sussidiarietà, cioè precariato sostitutivo di quei servizi che lo stato non è (più) in grado di dare. Sono distinzioni note almeno da quando mons. Giovanni Nervo dirigeva la Caritas italiana e prevedeva le conseguenze di questi equivoci. Infatti per il volontariato non ci sono più soldi, perché, non sostituendo l’intervento sociale ed educando alla responsabilità individuale di tutti nella gratuità, è scomodo.
Oggi diventa educativo non l’accompagnare i non vedenti, far conoscere la conoscenza storica della nonviolenza, dare compagnia agli anziani soli o vitalizzare i loro centri sociali, ma “prepararsi, come dicono i documenti, alla vita” attraverso la competizione e i conflitti. Ci si è messa anche la Lombardia che, dopo aver visto lo scempio della scuola di Adro, fondata sugli emblemi di un partito politico, si trova i militari o gli ex-militari a far concorrenza ai maestri. Ragazzi, la naja non c’è più (e non c’è più nemmeno l’obiezione di coscienza, anche se il problema di cui stiamo parlando dovrebbe agitare almeno gli ex-obiettori) e la legge è legge: i soldati sono impiegati statali. Se quella militare è una professione come un’altra, vorremmo nelle scuole anche i medici, gli ingegneri o i muratori.
Se, invece, non è un mestiere come un altro, lasciamo gli insegnanti a insegnare che, allo stato attuale dell’evoluzione, la guerra, anche difensiva e anche preventiva (per l’amor di dio non “umanitaria”) può essere una dura necessità o un aiuto alla ricostruzione dopo disastri, ma non è assolutamente un valore più patriottico del civile. La patria la si serve con il rispetto delle regole di giustizia, dell’uguaglianza e della democrazia nonviolenta; che è quello che vorremo fosse il comune senso dello stato di noi italiani.
INSISTO: INCOMPATIBILI MILITARI E SCUOLA
7 ottobre 2010
Confesso che non credevo che fossimo a questo punto. Mercoledì 29 settembre Radio3 ha trasmesso un dibattito sulla deprecata proposta La Russa “per prevenire – come ha avuto il coraggio di sostenere (e qualcuno gli avrà creduto) il nostro ministro-in-orbace – il bullismo”. Uno dei partecipanti al dialogo, un signore certo non antimilitarista, che riteneva positiva per i ragazzi più grandi una preparazione patriottica e, al tempo steso, difensiva, raccontava dei suoi incontri in campagna con bande di ragazzini che si esercitano a sparare sul serio con armi più o meno reali. E aggiungeva i propri funesti riscontri che sperimenta nella consultazione di siti elettronici specializzati: non pochi ragazzi giovanissimi si offrono ai reclutatori di mercenari garantendo la propria formazione: “ben preparati ad uccidere”.
Sono ancora sgomenta. Eppure so bene i rischi di una pedagogia familiare e scolastica ferma, quando c’è, agli schemi delle passate generazioni. Dobbiamo invece essere preoccupati per le responsabilità di cui ci stiamo caricando per la nostra irresponsabilità involontaria, se si può dire. Infatti, quando regaliamo una playstation al ragazzino, gliela lasciamo in libera gestione. Alzi la mano (gli diamo subito una medaglia) chi, regalata la play station, sta di frequente alle spalle del figlioletto per controllare quello che sta vedendo e ragionare con lui. I piccoli delle passate generazioni, quando tagliavano la coda alle lucertole (i bambini mai stati buoni per natura), si sentivano dire “no, ché gli fai male”. Adesso i bambini giocano in tutta autonomia e solitudine con il virtuale e imparano a uccidere senza provare emozioni; e nessuno li mette in guardia: “Attento, non fargli male, anche se è un nemico virtuale”. Non è più come quando i genitori giocavano alla guerra e uno faceva teatro e si lasciava cadere morto, e subito si rialzava: c’è un abisso rispetto alla suggestione delle fiction, tanto è vero che si è dato il caso di bimbi molto piccoli – quattro o cinque anni – che si sono buttati dalla finestra dopo aver visto spider-man. Se uccidiamo le emozioni, rendiamo più problematico distinguere ciò che è bene da ciò che “fa” male. La scuola non è ancora attrezzata per fare educazione sentimentale.
Quindi, attenzione: insegnare a sparare a chi ha amato le insospettate storie create alla play-station, non evita, ma produce bullismo. E prepara personale per nuove Gomorra, assassini professionali, disoccupati che trovano impiego nelle mafie: 50 euro per una vita umana. Una minoranza, si dirà: ma anche i buoni, essendo ben consapevoli di che cosa pensano di fare i pochi, introietteranno indifferenza e paura.
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NOTA
I due articoli riportati sono comparsi su Il Domani online: