“Big Bang” è uno spettacolo teatrale di e con Lucilla Giagnoni, a cui ha collaborato per i testi Maria Rosa Pantè. Sono state intervistate da Gaianews.it in occasione della presentazione dello spettacolo all’inaugurazione della biblioteca Archimede di Settimo Torinese. Qui sotto il link del video:
Lucilla Giagnoni racconta lo spettacolo BIG BANG
e Maria Rosa Pantè lo commenta.
Nell’intervista sullo spettacolo Big Bang ci sono anch’io. Mi sono vista insieme a una dei miei tre gatti e mi sono ascoltata. Sono ancora d’accordo con me e quindi vorrei fare partecipi i lettori di alcune cose sulla meccanica quantistica che ho scritto per lo spettacolo e che poi sono state riviste, un po’ semplificate, rimasticate per l’omogeneità dello spettacolo e in funzione delle esigenze di Lucilla Giagnoni e soprattutto del pubblico. Ve le offro sperando che, pur nel pressapochismo (i fisici mi perdonino), pur nella frammentarietà e nella difficoltà del testo, vi affascinino come la meccanica quantistica ha affascinato me. Pensare all’infinitamente piccolo cambia la percezione delle cose: un’avventura, un viaggio che merita di essere vissuto.
La luce, cos’è la luce?
Doppia natura della luce: ora è un’onda, ora è una particella.
Nella luce i fotoni: nome buffo.
I fotoni sono bosoni, sono quanti. Quanti? No, solo quanti!
Il bosone, i bosoni: tanti diversi bosoni, particelle-folla, s’affollano nel loro compito supremo di mediatori delle quattro forze fondamentali della natura, sono pacchetti di quantità discrete, no, non timide, discreto qui vuol dire non continuo, saltellante. E dunque:
l’elettromagnetismo è mediato dai fotoni: la luce, la nostra esperienza quotidiana di bosoni;
la forza nucleare debole è mediata dai bosoni W e Z,
la forza nucleare forte è mediata dai gluoni,
la gravità è mediata dai gravitoni.
Il fotone è un gusto particolare del bosone, non esiste il fotone puro e solitaro, il fotone si aggrega in modi diversi, è un quanto, l’indivisibile mattone dell’universo.
Ogni particella indivisibile è un quanto: l’atomo del 1900.
Nomi buffi: fotoni, bosoni, accrescitivi per microscopiche entità, sfuggenti, indecifrabili, inintuibili e quasi immisurabili.
La velocità della luce 300000 Km/s, la stessa dei fotoni nel vuoto, dove sono i fotoni?
Dove fissare il bosone, il quanto? Come un punto nel qui ed ora?
Siamo nella meccanica quantistica, nel principio di indeterminazione.
Il quanto fotone sempre in movimento non so dove sia di preciso. Non posso misurare se non la probabilità che sia in quel momento in un dato punto,
o in un altro o in quel punto, ma in un momento diverso;gli audaci dicono che il quanto non ha la caratteristica della posizione.
Mi dice il quanto: “Ehi, bada a come mi osservi”, mi fa l’occhiolino e io so che probabilmente sta tra lì e lì, un moto ondivago che fa venire il mal di mare perché i fenomeni non sono più asettici, certi, misurabili. I fenomeni dipendono da chi li osserva, dai suoi strumenti. Qualcuno, il fisico Bohr, si è spinto a dire che qualcosa esiste solo se viene osservato.
Accesa fu la discussione fra Einstein e Bohr. Esasperato Einstein chiese al collega: “Allora lei sostiene che la luna non esiste quando nessuno l’osserva?” Ma Bohr non rispose, perché la domanda era concettualmente priva di risposta.
Da venire alle mani e sarebbero partiti ceffoni se solo i due si fossero trovati, due uomini quantici non è detto si incontrino mai: l’onda probabilistica della loro posizione non è un unico, stabile, rassicurante punto.
Questa è la meccanica quantistica, descrive il comportamento della materia a livello microscopico. La usiamo tutti i giorni. Non ci credete? Che altro può essere il laser, la risonanza magnetica nucleare?
La usiamo, ma nessuno ce ne parla mai.