A Giancarla Codrignani è stato assegnato il premio Nettuno d’oro, che ritirerà martedì 15 marzo alle 17,30 nella sala del Consiglio Comunale. Istituito nel 1974 il Nettuno d’oro ha finora riconsciuto soltanto quattro donne: Piera degli Esposti, Norma Mascellani, Mariele Ventre e ora Giancarla. Nell’esultare per lei e con lei, riportiamo l’articolo che ha pubblicato su Repubblica Bologna l’11 marzo scorso.
Cresce la preoccupazione civile, quando si legge di una forte diminuzione di iscritti all’Università. Non solo per ragioni sociali, che fanno prevedere il ritorno a tempi in cui studiavano solo gli abbienti e pochi bravi.
Ma perché la decadenza attuale dell’Italia nel contesto internazionale sarà destinata a non trovar rimedio neppure in futuro, chiunque governi. Per questo appare giusta e opportuna la manifestazione di oggi. A patto che non resti testimoniale: la Costituzione si difende con la conoscenza e l’applicazione dei diritti che impegnano lo Stato a realizzare i legittimi interessi di tutti.
Per temporanea solidarietà i cittadini possono fornire alle scuole la carta igienica e organizzarsi per pulire le classi. Ma alla lunga finiscono complici di chi taglia i finanziamenti “dovuti”: l’istruzione è un diritto fondamentale dei cittadini e un dovere primario dello Stato. Passo passo, a partire da una presunta modernizzazione del lessico (accolta anche dalla sinistra) che ha adottato termini quali “azienda” per definire la scuola, “manager” per il dirigente e, peggio, “clienti” per gli alunni e le loro famiglie, si sta scivolando nella privatizzazione di un bene che “deve” restare pubblico. Fu merito dei governi liberali dello stato unitario istituire l’obbligo scolastico; dopo la fine del fascismo i democratici stabilirono una Costituzione aperta al progredire delle riforme che, in campo scolastico, non hanno realizzato ancora il principio di un “fare scuola dal nido all’educazione permanente”.
Restano tuttavia vincolanti i due articoli, 33 e 34, che garantiscono il diritto di tutti allo studio e alla cultura nella libertà. Il privato ha, appunto, la garanzia di una “piena libertà”; ma è lo stato che assume la responsabilità della scuola di tutti (ovviamente, laica) e “istituisce le scuole per tutti gli ordini e gradi”.
Nella nostra città lo stato ha costruito abbastanza scuole “di ogni ordine e grado”? Come mai non si risolvono le farraginose, distinte competenze di Comuni, Province e anche Regioni (soprattutto dopo le ambigue correzioni al titolo V Cost.) in termini di edilizia, affittanze, riparazioni, assunzioni? Come mai non si è ancora proposta una legge dello stato anche per i nidi, che non debbono ridursi a parcheggi aziendali per un presunto aiuto alle donne lavoratrici, mentre sono il primo livello del processo educativo? Perché gli organi collegiali non sono mai stati presi sul serio né serio riesce ad essere il rapporto scuola-famiglia? Perché non si cita neppure più il “senza oneri per lo Stato” che stabilisce in Costituzione il limite tra pubblico e privato?
Da anni non si discute di scuola insieme ai cittadini (i docenti giovani non sanno neppure che cosa fosse, a Bologna, il “febbraio pedagogico”), nonostante il tema riguardi tutti. E non ci s’accorge neppure che gli enti locali non ce la faranno a reggere anche la scuola, in una situazione destinata al degrado. Per questo qualcuno ha inteso ricorrere alla provocazione di un referendum consultivo sul problema della distribuzione dei finanziamenti pubblici in una città che da 15 anni sa di non avere spazi sufficienti per dare esecuzione al mandato costituzionale.
Il fare o non fare le convenzioni non è in questione più di tanto, visto che si fanno dai tempi dell’amministrazione Vitali; bensì si chiede ai cittadini di far sapere se per loro esser ridotti ad imporre tasse di iscrizione non previste dalla normativa comunale per le scuole dell’infanzia e insieme finanziare il privato sia o no una contraddizione e, soprattutto, se non segnali un allarme inquietante. Infatti il governo Berlusconi, con le parole sulla “cultura che non si mangia”, col plagio della tv pubblica di cui s’è fatto padrone e, coi tagli, le riduzioni delle cattedre e l’aumento degli alunni per classe, ci sta conculcando in una deprecabile via alla privatizzazione. Ne vogliamo discutere, per sollecitare un dibattito ormai emergenziale da parte dei più diretti responsabili e nell’imminenza di elezioni che non daranno al nuovo sindaco nessuna bacchetta magica?