Rovigo, Palazzo Roverella, 29 gennaio – 12 giugno 2011
Dopo la panoramica sul “Volto dell’Ottocento in Italia” realizzata a Padova, questa mostra, prossima nel tempo e nello spazio alla prima, approfondisce un’esperienza pittorica e culturale più dettagliata, una frazione del mondo ottocentesco.
Dopo l’unità sono avvenuti cambiamenti etici e culturali nello strato borghese della società italiana, che vive e realizza la difficile e contraddittoria ricerca e protezione di un’identità da parte dei nuovi ricchi. Una parte della nascente borghesia italiana non particolarmente operosa e attiva, affascinata dall’artificiosità e dal ben apparire, non pensa e non intende condividere la sensibilità, l’impegno sociale di Verdi, di Manzoni, di De Amicis, non si entusiasma per Segantini, Signorini e Lega.
E’ tutta concentrata a coccolare i suoi piaceri.
Il percorso qui illustrato stuzzica rimandi alla realtà italiana contemporanea … a quella che Lacan chiama” l’eclissi del Padre”, la denigrazione degli ideali. Ci sono pochi molto ricchi e ci sono molti nuovi poveri; anche oggi una parte dei primi, potenti, rinuncia alla propria responsabilità verso i secondi, evade tutte le tasse possibili e intende arricchirsi a discapito di tutto e di tutti, al contempo si allontana sempre più dal principio di realtà. Io sono il mondo, il mondo è mio.
Nell’anno 1867 l’exploit della pittura italiana all’Esposizione Universale di Parigi sancisce la diffusione di un gusto destinato a segnare il secondo ottocento: tra preziosismi pittorici e curiosità tematiche, nell’orbita del pittore spagnolo Mariano Fortuny, dissolve ogni traccia dell’impegno etico della pittura precedente.
Mariano Fortuny y Marsal era arrivato a Roma nel marzo del 1858 grazie a concessioni dalla Deputazione di Barcellona; scattata l’amicizia con il pittore, poi antiquario, Attilio Simonetti, condivide con lui lo studio, e le escursioni nei dintorni romani. Da residenza professionale l’atelier si trasforma in palcoscenico di mondanità, d’incontro tra personalità che contano, spazio dedicato al commercio e, per molti, in un modello da imitare.
“Lo studio del Fortuny, in Roma, dava di lui la stessa idea, era tutto pieno d’oggetti di curiosità, di stoffe,di bronzi, di majoliche, di tappeti, d’armi, di vetri dipinti artisticamente foggiati di antiche e rinomate fabbriche, vero bazar, tutto splendori, colori, riflessi e barbagli; parea più un’Esposizione.” (Walther Fol)
Lo sguardo degli artisti che imitano il suo stile rappresenta una quotidianità più aneddotica, la trivialità dell’aneddoto prende il sopravvento sull’idealità della storia, persino gli Induno cambiano soggetti, da quelli storici a quelli propri dell’evasione, in particolare verso il serbatoio esotico e quello in costume, (dal medio evo al Settecento), per soddisfare il desiderio di una committenza sempre più desiderosa di superficialità, di godimento.
Presa questa china, si celebra in chiusura il frutto di una vera degenerazione, la trivialità del tardo impero romano, quello fantasticato e riprodotto nelle feste (festini) e immortalato nelle opere. Per queste rappresentazioni piovono comunque molte committenze, anche dagli Stati Uniti, sia per gli originali sia per le copie artisticamente riprodotte da Goupil.
Mentre Adriano Cecioni contestava a Giuseppe De Nittis, durante il soggiorno parigino, tra il marzo e l’agosto del 1870, con discussioni animate, il sopravvento diffuso tra i pittori alla moda nella capitale francese di una produzione in costume, concentrata su soggetti di un raffinato settecentismo, soggiogati tutti dal precocissimo talento dello spagnolo, negli stessi mesi Parigi tributava a Fortuny uno straordinario successo. Nel maggio 1870 in un’aura di mistero, enfatizzata da Théophile Gautier, egli diventa“l’homme du jour”, il prototipo di successi mondani e commerciali.
Nell’estate del 1874 Mariano Fortuny y Marsal soggiornava a Napoli e vi schiariva la tavolozza conferendole una luminosità “en blanc”. Pittura chiara e appiattita, “impero del bianco”, alla maniera “japoniste” alla quale l’artista aggiungeva, con incessanti stimoli visivi, una sorta di persistente eccitazione sensoriale.
La sua personalità diventa mito in vita e ancora nei primi anni dopo la morte precoce per malaria; poi avviene una totale rimozione, negli anni successivi.
La mostra ci racconta l’ondata di emulazione, spesso superficiale, degli artisti italiani, un’ondata di fascinazione da parte del pubblico.
Appare evidente il meccanismo di rispecchiamento che coinvolge la borghesia italiana plaudente sia Fortuny sia i suoi discepoli. Tanto da offrire loro una solida base di un successo fino agli anni ‘80: “Le signore e i signori alla moda, i borghesi ricchi– scriveva nel 1877 il pittore e critico pugliese Francesco Netti – ritrovavan se stessi in quelle opere.” Vedevan le stesse stoffe che avevano addosso, i tappeti che avevano a casa, il lusso nel quale vivevano, e poi scarpe di raso, mani bianche, braccia nude, piccoli piedi, teste graziose. Quelle figure dipinte stavano in ozio tali e quali come loro. Al più guardavano un oggetto, o si soffiavano con un ventaglio. Le più occupate facevano un po’ di musica o leggevano un romanzo. Era il loro ritratto anzi la loro apoteosi. E si faceva a gara per averle.
Ecco quindi delinearsi gli elementi salienti di un mito in crescita inarrestabile e frenetica, vissuta tuttavia nell’isolamento del suo atelier, in mezzo all’inesauribile stimolo visivo delle sue raccolte dei “tesori di antichità” .
Le Esposizioni Universali creavano un circuito di diffusione rivolto a un pubblico sempre più ampio, indifferenziato, appartenente a diverse classi sociali, e potevano a un tempo rappresentare la conferma del gusto commerciale di una borghesia partecipe del clima del secondo Impero.
Ci introduciamo in un’Esposizione dell’Epoca.
Prima sezione L’art à la mode. Un ventaglio in cornice
“Donna con ventaglio” di Tofano è il logo della mostra: due occhi maliziosamente accattivanti, il viso riparato dal ventaglio, due rose graziosamente poste sui capelli castano dorati suggeriscono aspettative e desideri.
E’ accanto ad altri capolavori di decorazione, di sfarzo, di sontuosità pittorica, incarnanti il gusto borghese. Il quadro diventa un vero “ventaglio in cornice” al “colorito afflitto” delle opere della macchia, si oppone l’esplosione cromatica dei cosiddetti fortunyani.
Ecco” Il ritorno dal ballo” di Giuseppe De Nittis: due ragazzotte tornite mostrano le nudità mentre scivolano frettolosamente all’ingresso di un giardino; albeggia, portano costumi contemporanei, soggiacenti alla moda Impero, ma scintillano assecondando la vivacità di movimento brioso.
Significativa l’ “Attesa” di Giovanni Boldini: lei è provocantemente abbandonata sul divano fra tappeti a fiori, tendaggi colorati, pizzi di sottovesti che le pieghe dell’abito lasciano provocantemente intravvedere, i gesti rimandano a “fattura coquette”propri dei passaggi dagli atelier…ad ambiti riservati.
Stupisce sempre Boldini con “Gossip“: interessante flash sulle frenesie a lui contemporanee …. salotto stile Impero, ispirato alla rievocazione romano-egizia, con decorazioni parietali a grottesche, intorno al tavolino decorato da intarsi bronzei dorati, le tappezzerie rivestite di sontuosi broccati, il paravento come preziosità orientali, clima adatto al pettegolezzo fra due giovani dame informate dall’anziana ospite. Gli abiti confermano un’ecletticità aleggiante dal rococò degli strascichi a sfarzosi cappellini.
Come “Allo specchio”, altre scene galanti e interni di genere consistente piroette, su piccola dimensione, i cosiddetti “tableautins”, realizzati con pennellate abbreviate e squillanti, spumeggianti di particolari e di dorature.
Anni dopo Boldini arriverà a celebrare altre eleganze molto più raffinate nelle dame dell’alta società francese e italiana in grandi dimensioni.
Seconda sezione La borghesia in posa
“Dopo il ballo” In questo frammento di psicologia femminile, Simonetti tratteggia i turbamenti e la frivolezza di un’eroina femminile alle prese con la mondanità.
“Il vestito giallo“ di Vincenzo Capobianchi (figlio di un mercante di curiosità e antichità in via del Babbuino a Roma. Avvicinatosi a Fortuny proprio per il comune interesse antiquario, Capobianchi, dopo un primo studio di fondi d’oro, si avvicinò alla maniera del pittore spagnolo) “Esattissimo nel disegno, pastoso nel colore”, tanto chiaro da perdere volume riscosse notevole successo sul mercato internazionale, emblema di vita contemporanea: il paravento laccato a chinoiseries, il tessuto riccamente decorato, il trumeau listato d’oro, la specchiera dorata e la consolle intarsiata inquadrano una scena coquette, la prova dalla modista .
Si avvia un percorso creativo sempre più subordinato al gradimento dell’opera d’arte, e le preferenze del pubblico borghese diventano determinanti.
”La lettura” di Mancini, due giovinette sorridenti, mentre una legge l’altra ricama uno splendido tessuto di taffetà rosa; “Donna allo specchio” di Induno, sgargiante, nel sontuoso abito verde smeraldo, ma insoddisfatta .
Colpisce “Sogni”di Yacovacci, per la malinconia, l’inquietudine degli occhi che rimanda più a” Nostalgia” di Pelizza da Volpedo che all’omonimo dipinto di Corcos, dove la figura femminile è intrepida e sicura di sé : logo della mostra di Padova.
Terza Sezione Gli ornamenti della voluttà
Eroine sognanti poste in salotti borghesi, poi negli harem, caratterizzano la generazione femminile prediletta dagli artisti alla moda, quelli che nell’Italia post-unitaria confezionano un cliché femminile di suadente malizia e di provocatoria sensualità.
La più accreditata ai nostri occhi è “La modella” di Mancini elegante signora in nero, cappello a larghe falde con fiori bianchi, ma insicura, gesticola con le mani fra foglie spinose, come senza accorgersene.
Quarta sezione La festa degli occhi: dipingendo per amor di dipingere
Si allude a una pittura “brillante, curiosa, abile, fatta più per la festa degli occhi che per toccare il cuore” sul crinale del “fortunysmo” troviamo il vitalismo visionario di Edoardo Dalbono, e le scene di folclore, scoppiettanti di luci e colori, riprese della realtà contadina e popolare, di Francesco Paolo Michetti ” Sposalizio in Abruzzo”, al quale aderiamo convinti.
Ci intenerisce “La bambina col fazzoletto giallo sul capo” di Mancini, travestita con gli abiti della mamma, la bambola tra le mani e i giochi accanto, è colta in un attimo di sgomento e ansiosa solitudine più leziosi, dello stesso autore lo scugnizzo travestito da “ragazzo da circo “o da pastorello.
Gradevole l’eccitato “Mercato San Polo” di Fravetto e ancor più “l’Idillio“ in un vicolo veneziano una coppia del popolo seduta su due sedie si scambia intese silenziose, fra languori trattenuti … abiti semplici, dai colori spenti, passano in secondo piano grazie ad un ventaglio rosso per lei e al cappello stropicciato che lui tiene all’indietro per sorridere sotto i baffetti in vista.
Quinta Sezione Il pittore antiquario
Si sviluppa il tema dell’introduzione, il valore dell’atelier per Fortuny, qui vengono presentate più copie d’autore, copia di “belli oggetti” e di “bei modelli” nell’assenza di un qualsiasi messaggio di autenticità emotiva.
Capobianchi annovera nella sua produzione un dipinto, “Gli antiquari”, che si inserisce nel ciclo di opere di analogo soggetto, una di Boldini, vista a Padova, due note tavolette eseguite da De Nittis. Ma partiamo da Fortuny che ne “Una visita all’antiquario” realizza un sottile gioco di allegorie, una vera “strategia delle immagini”. La rappresentazione idealizzata dell’amatore d’arte in abiti settecenteschi, come in una rarefatta scenografia dell’epoca, per altri è un ” interno”, sontuosamente arredato, (Pagliaro) o “nello studio dell’artista” uno spazio gremito di antichità. Tutti mirano a creare un’immagine volta a sollecitare la committenza borghese attraverso l’illusione di un’esperienza irripetibile .
Sesta sezione Divagazioni d’Oriente: dall’Islam al Giappone
Si celebra l’orientalismo di Fortuny che soggiornò in diverse occasioni nell’Africa del Nord, traendo ispirazione per l’elaborazione d’immagini di “bazar”, di tappeti , di beduini e cammelli, e sviluppò in piena sintonia con la propria inclinazione estetica il gusto per l’esotismo. Si scopre una particolare sensibilità in “ Fumatore di oppio” di Fortuny, nel quale affascinato si identifica rappresentando un’ aura di dissoluzione fatta di colori caldi, macerati e rarefatti .
Gradevole la vivace figura del “venditore di tappeti” di Dell’orto, come quella del “venditore di antichità” di Capobianchi,ove
l‘acquirente stona negli abiti troppo vivaci.
Inteneriscono “Le ricamatrici levantine”, giovanissime ragazzine ai telai, intrigano “Le preghiere nel deserto” ideate con foga da Domenico Morelli e le aristocratiche “passeggiate nell’harem” di Alberto Pasini .
In Europa si torna alla finzione, al più disimpegnato travestimento contemporaneo, dilagano eleganti kimoni rosa e variopinti parasoli giapponesi a garantire le mode japonistes anche in giardini molto italiani.
Settima sezione L’Ottocento in costume
L’assunzione da parte degli imitatori e degli ammiratori della visione esteriore dell’opera di Fortuny conduce a “un delirio di abiti a strascico, di merletti, di ricami, di stoffe pompose, di galloni falsi, di grandi cravatte, di parrucche, di fiori,di ricchezza dipinta”(Netti), una frenesia dell’apparire, un’imitazione brillante e frivola. Intanto il valore sociale dell’opera d’arte diventa innanzitutto investimento, come documenta la presenza del collezionismo americano dell’arte alla moda, vincolata alle attese di una borghesia che aveva rimosso ben tre rivoluzioni.
“Masquerade” ironico verso di due cigni che innalzano il becco contro quattro maschere di cortigiani, mentre un Arlecchino tigrato suona sotto un ramo fiorito. Si coglie il gusto sottile dell’ironia di Fortuny, ironia che ai suoi imitatori sfugge, e i suoi ammiratori trasformano in gusto del grottesco. Soprattutto quando diventerà revival antichizzante, di gusto romano o neopompeiano. Ora le messinscene in costume si orientano verso il repertorio medievale e rinascimentale, dando origine a tutta una serie di paggi, fornaretti e menestrelli . Tra essi emerge “il paggio” in abiti cangianti mentre gioca smodatamente con un levriero, di Giovanni Boldini: frutto di una sapienza cromatica in grado di rendere l’ atmosfera con una verità che sfugge ad ogni manierismo .
I quadri seguenti si animano di nuove movenze e di sontuosi colori” dame e cavalieri“, di Atti; fino al decadentismo del genere e dei costumi: “Il baciamano” di Gerolamo Induno: sfarzosa messinscena galante, inquadrata in un monumentale colonnato all’uscita di un’elegante carrozza e con il corredo di regali tappeti in un settecento artificiale.
Con il baciamano abbiamo già raggiunto
l’Ottava sezione Dal Neosettecentismo al gusto Impero: la fattura coquette
Prevale il gusto neosettecentista, sul versante romano emerge Attilio Simonetti, unico vero allievo di Fortuny, che si affermò all’estero come petit maître alla moda, con acquerelli dalla fattura briosa e sciolta e dalla tavolozza smagliante, per lo più raffiguranti un Settecento prezioso. Opere quasi di serie, che hanno perso tutta l’originalità di un Longhi ma graditi ai borghesi ricchi che “ritrovavan se stessi in quelle opere”. Immemori del fatto che con abiti simili i loro predecessori erano stati decapitati.
Astro esclusivo della costellazione resta quello di Giovanni Boldini che nella sua stagione parigina recepisce immediatamente l’effusività cromatica e il fascino delle scenette settecentesche di Fortuny, elegge il parco di Versailles quale palcoscenico privilegiato per i suoi “idilli“ galanti, in costume.
Nona sezione L’antico alla lente di Goupil
Adolphe Goupil non divenne soltanto il più ricco mercante d’ arte dell’ Ottocento, che trasformò la pittura in immagine di massa attraverso la riproduzione economica a stampa, ma fu anche uno dei più raffinati editori di libri e cataloghi d’ arte.
Con la collaborazione di Jean Léon Gerôme, suo genero, orientò i giovani artisti che confluivano a Parigi verso un’arte pseudo – archeologica suggerendo montaggi romano-pompeiani ed egiziani; ai quali si dovevano garantire colorazioni brillanti e attitudini di (falsa) grazia aristocratica. Postiglione rende omaggio a queste aspettative in “Salomè “come Muzioli in preparativi per la “festa”. Immagini volte a celebrare antichità corrotte, in festini ove la finzione esprime l’annullamento dei valori. Eppure questi quadri, come le loro copie, “erano pagati a peso d’oro, celebravano il primato della ricchezza, non quello del buon gusto”.
Abbiamo visto delinearsi gli elementi salienti di un mito intorno alla figura di Fortuny: una personalità dedita a una ricerca inarrestabile e frenetica, capace con rapido schizzo, con “singolare abilità della mano”, di rendere reali i sogni borghesi, e tuttavia la domanda finale resta quella fortemente dubbiosa di Giacosa: “ma dove è il quadro?” Dov’è l’arte? diciamo noi. E dove sono rintracciabili gli amanti del bello, della cultura, nella china in rapida discesa di una tratto di società arresasi al vuoto?
Per molti artisti l’adesione alla cifra di Fortuny aveva apportato popolarità, così da riuscire ad affermarsi come esponenti del gusto contemporaneo: a ciò seguirono giudizi pesantemente limitativi, e diverse critiche, capaci di sollecitare modalità nuove di osservazione della realtà e della sua rappresentazione.
E secondo la tesi storiografica di Maltese, “in natura tutto armonizza, perché ogni corpo ha un colore proprio; e se questo colore è riprodotto con proprietà in pittura, l’armonia ci sarà anche nel quadro” arriveranno gli impressionisti, poi Gauguin, Van Gogh, Matisse, Pelizza da Volpedo: “ il Quarto Stato si è affacciato alle porte della società e della cultura, non senza sofferenze, spesso inascoltato, ma vuol contare, grazie alla collaborazione di altra parte di un ceto borghese illuminato”.