Ravenna, MAR Museo d’Arte della città
Cominciamo con le parole di Claudio Spadoni, curatore della mostra e direttore del MAR:
“Sono stati necessari alcuni decenni per riconsiderare attentamente le vicende artistiche del secondo dopoguerra, superando pregiudizi e reticenze, complessi di sudditanza nei confronti di altri Paesi, mentre dall’estero stesso arrivavano apprezzamenti per i nostri artisti. che avevano reagito al clima artistico-politico del Ventennio, con l’esigenza di un’apertura europea….
Negli ultimi decenni, in Italia si sono realizzate diverse mostre dedicate a movimenti, gruppi, tendenze artistiche che hanno reso la scena italiana del ‘50 così ricca di vicende, di slanci innovativi, di manifesti e contributi teorici, di confronti anche molto aspri tra il Fronte Nuovo delle Arti, il Realismo, il gruppo romano di Forma 1, lo Spazialismo e Nuclearismo, il MAC e il Concretismo, e il gruppo romano degli Otto. Nell’ occasione ravenate si è provveduto a ricostruire per intero, in un’unica mostra, questo periodo densissimo, mettendo insieme i diversi tasselli di un puzzle per restituire l’immagine multiforme di un’Italia che usciva dal lungo incubo della Guerra. Con “L’Italia s’è desta 1945-1953”. Arte in Italia nel secondo dopoguerra, si offre un quadro d’insieme che consente una visione contestuale di vicende diverse, anche contrapposte, ne risulta un’ operazione di particolare valore cultural . didattico oltre che estetico. Non mancano figure artistiche del primo Novecento, personalità ancora felicemente attive nel dopoguerra.
Fino al 1953, data delle memorabili mostre dedicate a Picasso, prima alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma – con alcune opere del “genio del secolo” letteralmente censurate per i loro espliciti contenuti politici – quindi a Milano, con l’arrivo rocambolesco anche di Guernica, l’opera mitizzata fino a diventare una bandiera artistico-ideologica per tanti. inteso come espressione esemplare di modernità di linguaggio e di contenuti, o come un passaggio obbligato per l’arte del dopoguerra. La celebrazione di Picasso chiude anche il tempo della costituzione di gruppi, della redazione di manifesti e dei pronunciamenti teorici sull’esempio delle avanguardie storiche. Per questo la mostra attuale si arresta proprio a quella data che quasi simbolicamente chiude la lunga stagione postbellica dell’arte italiana, per aprirne altre. Complessivamente, sono un’ottantina gli artisti convocati in questa rassegna. Un numero certamente alto, fra protagonisti e comprimari, partecipi a pieno titolo delle vicende storiche, anche per l’adesione formale sottoscritta in manifesti”.
Negli stessi anni, altre figure non secondarie operano in una condizione appartata, come outsider, spesso trascurati nelle ricostruzioni di quel periodo. Figure tra loro diversissime per età, formazione, geografia, linguaggio, come Sironi, Mušic, Licini, Carol Rama (almeno fino al suo avvicinamento al MAC nel 1953) Corsi, Spazzapan, i più giovani Romiti, Bendini, Vacchi, futuri adepti dell’ultimo naturalismo di Francesco Arcangeli: un ventaglio di nomi ben rappresentativo di quanti hanno fatto scelte più personali, lontano o anche solo ai margini dei gruppi ufficiali. Così è anche per la scultura, ancora sostanzialmente intesa nella sua specifica identità, anche dopo il famoso pronunciamento di Martini, “La scultura lingua morta?”, viene offerta una significativa campionatura in una sezione che raccoglie una decina di artisti, dai già maturi Antonietta Raphael, Fontana, Marini, Manzù,a Fazzini, Leoncillo e Tavernari. Altri si ritrovano fra i pittori nelle sezioni dedicate ai gruppi e ai movimenti ai quali hanno aderito.
Non mancano contributi sugli altri versanti culturali, dalla letteratura e i suoi coinvolgimenti nei dibattiti artistici, alla questione dell’architettura, al cinema, la cui importanza in quel contesto storico è ampiamente riconosciuta.
Cerco di fare mio un suggerimento di Pier Paolo Pasolini:
“Questa arte nuova si pone il tema dell’approccio ai non esperti? non adepti?”
A prescindere dagli approfondimenti teoretici delle articolazioni associative e delle loro visioni concettuali, sono notevoli le opere che stupiscono, opere imperdibili per i loro messaggi poetici: La chimera di Cagli che sorge come atmosfera magica in un susseguirsi di vapori luminosi, luce marina e null’altro;
“Benedetta Marinetti” di Balla: un velo la separa da noi e dal lungo ponte, autorevole come novella Andromaca-
Balla/Carrà, poi le sfumature bianche grigie beige che accarezzano “le nature morte” Morandiane, gli onirici “cavallini“ di Music ci parlano di libertà, fantasia, leggerezza proprie dell’arte che sa tornare all’infanzia, smarrendosi. Smarrimenti altri nel timbro di Sironi, lampi lunari sulle armature di cavalieri in fuga nella notte, accanto alla fatica di due soldati frastornati, dispersi in un fronte che rimanda a “ la grande guerra”
Ecco I fantasmi … che Savinio scopre nel maniero dipinto anni prima e ci rivela con pochi tratti bianchi fra mura cadenti; La dolcissima Francesca Blanc, sirenetta-simbolo della grazia italiana di Manzù; la sofferta nuotatrice di Martini, cifra del suo dubbio doloroso: “la scultura è una lingua morta?”… Segue la Genesi di Rafhael come incompiuta nel dis-velamento del viso che non ha ancora,
così la danzatrice di Marini che vorrebbe lanciarsi ma le braccia restano attorcigliate nel capo.
La tenera malinconia della scrivania di DePisis: poche schegge di luce e di nostalgia su calamaio, penna,una busta chiusa,la pipa, schizzi d’inchiostro e bagliori azzurrognoli alle finestre. Il suo quadro accanto vibra alla luce incontenibile di un mazzo di rose bianche; l’elegante distacco delle bagnanti di Campigli fa il verso alle suggestive inquadrature marine di Carrà dai toni caldi e dalle linee essenziali.
Un’osservazione particolare richiamano le opere di Guttuso: dal tragico massacro de la battaglia del Ponte di Ammiraglio”, .emblema della tragicità di un’eroica guerra civile un secolo prima in Sicilia, ieri in Italia; la zolfara vede i minatori in simbiosi con lo zolfo della miniera,vivere come in una terra di mezzo (anticipa le visioni de il Signore degli anelli) , ne le donne dei solfatari c’è il grido, l’urlo, e la volitività delle popolane siciliane. Ad esse fanno da contrappunto le donne infreddolite della borghesia milanese di Sassu che popolano via Manzoni ,in un trionfo di cappotti colorati, di fiori, di gusto della vita fuggitiva.
Proprio in alcune immagini del primo e del secondo si colgono tracce che dall’epico passano al retorico, ad una retorica nazional-popolare, che verrà elaborata da Walter Molino e resa sulle copertine della Domenica del Corriere… per evitare di scivolare sulle immagini sovraccaricate, volte a colpire l’immaginazione del visitatore e del lettore, mi sembra significativo ricordare che all’inizio degli anni Sessanta Pasolini scrisse un lungo pezzo dedicato ai Disegni di Guttuso (alcuni li troviamo in mostra) Si tratta di un commento a venti disegni che datano dal 1940 in poi, accompagnati da un testo poetico, Il rosso di Guttuso, che esce anche sulla rivista “Rinascita” con la riproduzione di un’opera dell’artista, L’amico del popolo.
L’elemento principale che lo scrittore nota nelle opere di Guttuso è la fedeltà assoluta a una condizione poetica che corrisponde a un continuo contatto con la realtà. Guttuso è dunque un pittore “ “poetico”. Pasolini guarda un disegno del ’45, dove sono ritratti operai in riposo. E descrive, con esattezza, una delle figure (“uno, quello quasi al centro, se ne sta con le braccia conserte appoggiando l’avambraccio sinistro sul ginocchio sinistro …”). Ma c’è qualcosa che nella descrizione viene omesso, qualcosa che Pasolini tiene in serbo alla fine: l’operaio è senza la parte sinistra della faccia, “mancano ciglia e sopracciglia, mancano palpebre e pupille, manca zigomo e guancia”. Il pittore ha lasciato larghe zone di bianco, segnali di “mostruosa incompiutezza”. Secondo Pasolini questo è il significato profondo dell’espressionismo del pittore un “urlo insieme autentico e stonato”. … Guttuso riassume in sé, nelle sue contraddizioni, nella sua esperienza tecnica apparentemente primitiva, un’intera parte del decennio. In lui, nel suo successo, nelle polemiche legate al suo nome,e alle posizioni di Togliatti contro l’arte astratta, si ritrova l’atmosfera degli anni del dopoguerra. C’è poi un elemento che a Pasolini sta a cuore, per chi dipinge un artista moderno? (E la stessa cosa sarebbe: per chi scrive un poeta? O un romanziere? Negli anni cinquanta la discussione è stata vivace, intere battaglie si sono combattute pro o contro l’impegno degli artisti verso un popolo che entrava in massa nelle sale della mostra con la mente dominata “d’umile desiderio di capire”. […]
Torniamo, col nostro desiderio di capire i molteplici messaggi della mostra che mutua orgogliosamente l’incipit del nostro inno nazionale: nel 1945 “L’Italia s’è desta”. Con la definitiva caduta della dittatura fascista e la fine della seconda guerra mondiale, si è determinata una rottura radicale e contemporaneamente una svolta nel processo apertosi anni prima, anche nell’arte, tra difficoltà e contraddizioni …
La crisi del sistema, contestualmente politica, sociale, economica e culturale aveva avuto una prima, tragica accelerazione proprio nel 1938-1939 con la promulgazione delle leggi razziali e lo sciagurato trattato di Berlino con la Germania nazista, che portò l’Italia nel precipizio della guerra. Pesanti furono le ricadute pure sull’arte, per l’esilio, la prigionia, il confino e persino l’internamento nei campi di sterminio di maestri quali Corrado Cagli, Aldo Carpi, Carlo Levi, Anton Zoran Music e Aligi Sassu, dall’altro nella crisi di tutto un mondo che nell’arte, si rifletteva e incarnava. Col risultato, accanto a un’arte della crisi, di una crisi dell’arte, nei presupposti, prima che nelle scelte espressive, e negli obbiettivi. Lo stesso “Premio Cremona”, voluto appunto nel 1938 da Roberto Farinacci, puntò su di un’arte di mera propaganda di regime, sulla falsariga di quanto avveniva in Germania.
Connettere arte e vita, propone il filosofo Antonio Banfi, docente all’Università di Milano col suo allievo Luciano Anceschi, professore a Bologna, la “vita vivente dell’espressione” questo il terreno di incubazione e poi di azione, a Milano, dei pittori di Corrente,autori della rivista “Corrente di Vita Giovanile”, fondata da Ernesto Treccani. Impegno interrotto solo dall’irruzione della polizia durante una mostra di Vedova, in quel clima totalitario e persecutorio.
Una nuova generazione di artisti che emerge negli anni ’40-’50, dal confuso e vitalissimo dibattito culturale che caratterizza il periodo postbellico, con implicazioni ideologiche e politiche.
Fondamentale per tutti è la volontà di una rottura totale con il passato, l’esigenza di una “rinascita”, di un rinnovamento radicale delle nuove ricerche, non solo dal punto di vista linguistico ma anche da quello etico e sociale. Questo rinnovamento significava da un lato recuperare e rilanciare le istanze più incisive e progressiste dell’avanguardia italiana (dalle forme più libere e creative del futurismo all’astrattismo geometrico) e dall’altro, soprattutto, ricollegarsi in modo attivo alle correnti artistiche internazionali di punta, a Parigi ,in Europa, poi agli Stati Uniti.
Con Roma e Venezia, Milano è il centro più significativo per lo sviluppo di nuove tendenze, grazie alla presenza di gallerie di punta, del collezionismo, di rilevanti mostre pubbliche, e dell’ intensa attività nel campo dell’architettura e del design.
Le esposizioni pubbliche più significative sono Arte astratta e concreta, organizzata nel 1947 a Palazzo Reale dai concretisti svizzeri Max Huber e Max Bill, la mostra di Matisse alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (1950); quella di Léger alla Triennale (1951); quella memorabile di Picasso, con trecento opere tra cui Guernica, al Palazzo Reale (1953) e nella stessa sede quella di Mondrian l’anno successivo, determinanti per la nascita a Milano del MAC (Movimento Arte Concreta).
Negli anni che vanno dal dopoguerra all’inizio del decennio successivo se da un lato ha molto spazio la tendenza postcubista (nei suoi vari sviluppi) a partire dagli esponenti del Fronte Nuovo delle Arti si sviluppano tendenze significative: da lo Spazialismo che ha nella straordinaria originalità creativa di Lucio Fontana il fondamentale punto di riferimento; al Movimento Nucleare che pur avendo legami con lo Spazialismo è influenzato dall’automatismo surrealista e vuol occuparsi de “l’uomo nucleare e lo spazio intorno”.
Nel maggio del 1946, nei primi incontri di via Margutta 48, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli con Carla Accardi, Ugo Attardi, Pietro Consagra, Antonio Sanfilippo e Giulio Turcato si trovano a discutere di arte, di estetica, di forma. Sono tutti giovanissimi, tranne Turcato, trentacinquenne cercano la possibilità di trovare uno stile che sia espressione del proprio tempo: secondo dopoguerra, carico di grandi attese. “L’astrattismo” coincideva con una poetica di nuovi contenuti per una nuova società. La loro formazione era differente: dalle lezioni di Lionello Venturi e Giuseppe Ungaretti all’Università, al Centro sperimentale di cinematografia per il cinema d’avanguardia storico, alle Accademie di Palermo, Roma, Firenze. Fu soprattutto l’esperienza europea, ad aprire loro le menti verso riflessioni diverse, orientate ad importanti ambizioni.
A Parigi è l’occasione per conoscere i grandi nomi dell’avanguardia europea, per respirare le novità, per guardare oltre: visitano gli studi di Giacometti, Hartung, Laurens, Léger, mentre “i romani”, approdano agli studi di
Sonja Delaunay, Manessier, Man Ray, Singier, e Klee.
Turcato veniva dalle esperienze di Corrente, Nuova
Secessione Artistica e Fronte Nuovo delle Arti.
Nelle opere in mostra lo vediamo procedere dalle
rappresentazioni in grigio-nero,azzurro-polveroso ai colori
squillanti, fino al tappeto di bandiere rosse in campi
Il vascello di Corpora ha la luce fantastica del vascello di
Peter Pan e del fantasma dei racconti di Marquez, accanto
ci siano donchisciotteschi lavoratori del mare.
Perilli lavora sulle s-composizioni
Dorazio sperimenta intrecci geometrici, punte dalle tinte vistose, torri di linee rette intersecate da segmentiperpendicolari, morbide linee curve ed elicoidali per suggerire il suono dolce di un flauto….
Borgonzoni fissa la fatica de le mondine, le due
figure di Minguzzi rimandano alle statue, ben più
significative, dei partigiani di Porta lame, (BO).
Fontana impone i suoi fori nello spazio, e sperimenta
materiali nuovi per le sculture.
Burri dispone i sacchi rattoppati con plastiline, e neri
Capogrossi afferma le sue” griffe colorate, la stireria di
Romiti sa di cristalli profumati,
Morlotti traccia dossi campestri di densi colori caldi,
mentre Birolli annuncia il porto di Nantes in fermento,
Licini gioca con angeli caduti che danzano lievi ma sgraziati e Rama rafforza temi che anticipano l’immaginario fantascientifico con figure arcigne.
Santomaso, Moreni e Morlotti compongono in tonalità diverse immagini frantumate, ispirate a quelle che Severini compone e posa su fondi rosa, fino a renderle degne di vetrate maestose.
Matta sente l’oppressione dei meccanismi sulla vita, si salva come medusa negli spazi acquatici che Veronesi dipana con toni meno dolenti in onde lievi.
In Munari si coglie la forza straordinaria del design: usa i
contrasti di colore per dar energia visiva a linee categoriche;
Testori rende la tragicità della crocefissione sommandola
a diversi sacrifici crudeli.
Afro spazia fra composizioni attanagliate, malcanton,
fino a figure di furori vermigli;
Baj dà volume alla tragedia di Hiroshima tanto da farla
diventare universale, persino il sole diventa cupo.
Vedova affronta temi relazionali, Scontri…nel complesso
d’intrecci intriganti e di valore etico, che auspichiamo
interpretare in altre occasioni di approfondimento.