(da L’Indice dei libri del mese )
Joan Domènech Francesch, Elogio dell’educazione lenta. Editrice La Scuola, 2011, pag. 182, €9,50.
Quale tempo dedichi trascorri a scuola? Quale tempo dedichi allo studio? Un tempo lento, in cui l’azione determina la durata, o uno accelerato, veloce, in cui l’arco di tempo assegnato contiene e configura l’azione?
Ecco, è tutto qui (ma non è cosa da poco!) il nodo dell’educazione, della formazione e quindi della scuola secondo Joan Domènech Francesch, direttore di una scuola primaria di Barcellona.
L’educazione, egli afferma, è un processo qualitativo, cui molto spesso, soprattutto nella scuola, viene data una risposta quantitativa, impostata su programmi, orari, obiettivi da conseguire tutti allo stesso modo e nello stesso tempo: risposta che produce per lo più un’effettiva perdita di tempo perché gli apprendimenti sono superficiali, di breve durata, ininfluenti sulla vita. Una scuola che si fonda sulla concezione del tempo come rapida successione di eventi tende a far sparire l’educazione, ma rende problematica anche la formazione “tecnica”, perché “nel caso di apprendimenti sequenziali, la rapidità comporta che, una volta perso il primo, avremo difficoltà a salire sul treno successivo, che parte dove il primo era arrivato.” (pag. 91). L’accelerazione, la ricerca della rapidità d’apprendimento e le conseguenti verifiche quantitative si traducono in realtà in lunghi tempi morti sul piano educativo sia a livello individuale che collettivo, tanto che, dice l’autore, la domanda più corretta che dovremmo rivolgere ai nostri figli al termine della giornata scolastica dovrebbe essere: “Quanto tempo hai perso oggi a scuola?”.
Osservazioni giuste (a volte un po’ ovvie oppure giocate sul filo del paradosso), ma come tradurle in pratica in una realtà complessa come la scuola, in cui – dice l’autore (pag. 22) in maniera forse un po’ ingenerosa – “il corpo docente si trasforma in una setta alla ricerca di risultati”?
Qui sta forse l’aspetto più interessante di questo libretto: infatti l’autore imposta una lucida battaglia contro il nodo fondamentale della scuola, costituito dal combinato classe/programma/orario che parte dal presupposto che chi ha la stessa età anagrafica abbia anche lo stesso grado di maturazione, attui lo stesso tipo di orientamento, abbia bisogno dello stesso arco di tempo per apprendere in modo accettabile le stesse cose. Tutto ciò non era vero ieri e lo è sempre di meno oggi.
Da questa considerazione discende la proposta dell’educazione lenta: “L’educazione è un viaggio lento con molte fermate nel quale, attraverso una moltitudine di situazioni, le persone compiono un processo che le aiuta a crescere sul piano emotivo e intellettuale.” (pag. 88). Un processo educativo che rispetti il Kairòs, “il momento presente determinato da una qualità” e non sia schiavo del Chronos, il tempo che fugge, che divora i suoi figli.
Mi rendo conto della potenziale ambiguità di tale proposta, della carica elitaria che esprime perché spesso solo chi ha mezzi economici e culturali può accondiscendere a tempi lunghi, ma non si può ignorare che la scuola della velocità, condizionata dalla tirannide del programma rigido e dell’orario cogente determini in realtà una vasta espulsione diretta e indiretta di ragazzi che vivono in situazioni di difficoltà ambientali. Per questo penso che la proposta di J.D. Francesch non sia certo da assumere acriticamente, ma costituisca comunque un utile stimolo a pensare un nuovo modello di scuola: una scuola in cui la scelta della lentezza, cioè la rottura degli strumenti della rigidità e della perpetua accelerazione, non sia il fine e tanto meno il sinonimo di pigrizia e trascuratezza, ma divenga lo strumento per individuare e seguire il ritmo che ogni apprendimento richiede.