Da un ricchissimo dossier sulla laicità della scuola pubblicato il 6 febbraio scorso da VIVALASCUOLA e consultabile nella sua interezza a questo link:
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2012/02/06/vivalascuola-103/ , estraiamo l’intervento di Giulio Giorello, riconoscenti alla redazione per l’ottimo lavoro del blog.
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Lo studio delle materie scientifiche e l’impostazione storica nella presentazione delle teorie più rivoluzionarie “possono servire a renderci consapevoli del fatto che la razionalità, il rigore logico, la controllabilità delle asserzioni, la pubblicità dei risultati e dei metodi, la stessa struttura del sapere scientifico come qualcosa che è capace di crescere su se stesso, non sono né categorie perenni dello spirito né dati eterni della storia umana, ma conquiste storiche, che, come tutte le conquiste, sono suscettibili di andar perdute.”
Proprio per questo, aggiungeva un grande storico delle idee come Paolo Rossi, recentemente scomparso, occorre lottare perché non torni il Tempo dei maghi, (come suona il titolo di uno dei suoi più bei libri, da cui ho tratto la precedente citazione, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006, p. 304), cioè del sapere iniziatico amministrato da caste di sacerdoti o vari altri sciamani dell’Essere, uno dei principali fattori di discriminazione tra esseri umani, ben diverso dalla conoscenza tecnico-scientifica pubblica e controllabile che ha modificato le condizioni materiali e spirituali della nostra esistenza in un modo così profondo da farci considerare come semplici scaramucce le predicazioni di questo o quel profeta.
Dubito che educare a questo tipo di lotta sia impresa che possa essere condotta con successo da qualsiasi istituzione scolastica che non sia robustamente laica. Qui laico vuol dire fuori dal recinto del sacro, data l’irrilevanza sotto il profilo della discussione critica di quest’ultima categoria (ho poco d’aggiungere a quanto ha scritto in materia Karl R. Popper, in particolare in alcuni dei saggi poi rielaborati e inclusi come capitoli nel suo Congetture e confutazioni, tr. it., il Mulino, Bologna 1972).
Per entrare nel concreto, sostengo: 1) che sia essenziale che in ogni società libera possa venir articolata e messo al servizio del pubblico un’offerta didattica senza restrizioni di sorta; 2) che tale offerta non venga minimamente condizionata da qualsiasi impegno religioso; 3) che sparisca da questo tipo di scuola l’insegnamento come materia a sé stante non solo di una qualche religione che magari pretende di essere “la religione della nazione”, ma di qualsiasi religione; 4) che siano destinati ad altri impieghi i docenti di religione presenti nelle “scuole statali”.
I quattro punti di cui sopra meritano alcune qualificazioni. A proposito di 1): l’insistenza sulla laicità nella scuola pubblica non significa affatto la soppressione dell’iniziativa privata in campo educativo a vantaggio esclusivo dell’intervento statale. Riprendo qui l’enfasi che Marco Mondadori e io abbiamo a suo tempo (1981) messo su un passo di John Stuart Mill (Saggio sulla libertà, tr. it. il Saggiatore, nuova edizione, Milano 2009, p.127): “Tutto ciò che si è affermato sull’importanza dell’individualità del carattere e della diversità di opinioni e comportamenti implica, con la stessa incommensurabile importanza, la diversità di educazione. Un’educazione di Stato generalizzata non è altro che un sistema per modellare gli uomini tutti uguali; e poiché il modello è quello gradito al potere dominante – sia esso il monarca, il clero, l’aristocrazia, la maggioranza dei contemporanei – quanto più è efficace e ha successo, tanto maggiore è il dispotismo che instaura sulla mente. […] Un’educazione istituita e fondata dallo Stato dovrebbe essere, tutt’al più, un esperimento in competizione con molti altri, condotto come esempio e stimolo che contribuisca a mantenere un certo livello qualitativo generale.”
A proposito di 2): dunque, la scuola laica non è un’istituzione che pretende al monopolio dell’istruzione, ma un esperimento didattico in competizione con vari altri in una sorta di libero mercato delle idee. Ovviamente, la selezione del personale non può in tal caso che essere basata sul merito e sulla competenza, e non sull’appartenenza o fedeltà a questa o quella “tribù” religiosa. Peraltro, ogni famiglia scelga qual è l’esperimento didattico che preferisce per i propri figli – e qualora questi siano maggiorenni scelgano loro stessi in prima persona – il che comporta anche la questione del finanziamento: ogni esperimento didattico venga finanziato direttamente da coloro che lo scelgono, senza elargizioni a pioggia su tutti quanti.
Al punto 3): non vedo la necessità di un esplicito insegnamento religioso nella scuola laica, nemmeno di un insegnamento di religioni, al plurale (trucco con il quale oggi si tende a giustificare la presenza dell’ora di religione nella scuola pubblica). Questo non vuol dire, ovviamente, negare l’importanza delle religioni nella storia dell’umanità, anzi! Ma che ci stanno a fare gli insegnanti di storia se non a spiegare anche la rilevanza di questa o quella “Sacra Scrittura” nelle più diverse vicende che hanno portato all’assetto attuale del mondo? Solo che in una scuola laica quelle Scritture non sono esenti dalla critica testuale, e vanno trattate come documenti puramente umani esattamente come la Commedia di Dante o i Canti di Leopardi o, che so io, i Cantos di Ezra Pound.
Ritengo che questa mossa istituzionale giovi anche alla purezza delle varie fedi. I credenti di questa o quella religione possono sempre scegliere una scuola confessionale di loro gradimento, oppure provvedere con altri mezzi alla presentazione della tradizione religiosa da loro preferita, svincolata (e dunque liberata) dall’ipoteca di dover rappresentare, volente o nolente, il braccio confessionale di una qualche politica di Stato o di partito ecc. Sono d’accordo con tutti quei teologi che, dalle più diverse posizioni, hanno insistito sull’equivoco di presentare una qualche religione come una sorta di “religione civile”: qualcosa che mi pare esiziale per la stessa libertà di coscienza.
Al punto 4): conseguentemente con quanto detto sopra sarebbe bene invitare gli attuali insegnanti di religione nella scuola pubblica a indirizzarsi verso scuole confessionali o ad altre attività che mirino a illustrare a fedeli e curiosi i pregi della religione cui aderiscono. Sono contrario, ovviamente, al riciclaggio di questi docenti in differenti insegnamenti entro la scuola pubblica garantendo loro una via di accesso privilegiata rispetto a tutti gli altri concorrenti che dovrebbero venir selezionati solo in base a merito e competenza.
Mi rendo conto che la l’attuale situazione del nostro Paese, tra atei devoti a Destra e partiti a Sinistra che nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche adottano la stessa posizione di una celebre canzone di Gianni Morandi (“In ginocchio da te”) non fa ben sperare. Eppure, come concludono Carla Castellacci e Telmo Pievani in un loro libro di qualche anno fa che non ha perso certo di attualità (Sante ragioni Chiarelettere editore, Milano 2007, p. 224):“Le pretese monopolistiche della gerarchia vaticana non sono guizzi improvvisi di interventismo, ma normali conseguenze dei rapporti istituiti attualmente fra Stato e Chiesa. È una rendita di posizione costituzionalmente garantita. Il privilegio, per quanto istituzionalizzato, accumula potere ma a lungo andare toglie credibilità e toglie libertà innanzitutto a chi ne gode. Paura e diffidenza finiscono per non essere buone consigliere. Denunciarlo non è soltanto ‘sdegno’ laicista, ma rivendicazione di un sano rapporto fra uno Stato laico e le confessioni religiose che, di epoca in epoca, lo attraversano.”