Insegnare in Bangladesh: questo soggetto è talmente vasto e delicato che meriterebbe uno studio serio e una trattazione articolata e metodologica. Ovviamente, non essendo questo il caso, mi costringerò a ridurre la portata del discorso a una breve esposizione di “presentazione generale”.
Innnanzi tutto occorre accennare a un fattore di background. Il Bangladesh è un paese del cosiddetto “Terzo Mondo” e come spesso accade mostra una grande differenza fra la vita comune della maggioranza della Nazione (in questo caso, distese agricole articolate fra le anse di una sorta di enorme delta formato da 4-5 dei più grandi fiumi del’Asia che qui confluiscono) e cio’ che invece si presenta nella capitale, Dhaka, enorme metropoli, caotica, sovrappopolata, “occidentalizzata”, moderna e tecnologica con ben poco in comune con il resto del Bangladesh.
L’insegnamento e le istituzioni scolastiche nelle zone agricole del Paese sono abbastanza simili a quelle italiane prima del ’67/’68, modello “Montessori”, ecc, o meglio, retrocedendo ulteriormente, simili a quelle che avremmo potuto forse incontrare in Italia all’alba della Rivoluzione Industriale.
Le aule scolastiche sono piccole, spesso adibite all’interno di bungalow di legno, magari con il tetto in lamiera ondulata. In molti casi non sono previsti banchi e sedie e gli alunni si siedono a terra in circolo, con il libro e il quaderno appoggiati sulle gambe incrociate. Il rapporto maestro-alunno è quanto più distaccato e severo si possa immaginare, le pene corporali (la classica “bacchettata” sulle dita) non sono nulla di anomalo; il metodo di insegnamento è “frontale” e si basa principalmente sull’apprendimento mnemonico. Sono rimasto colpito notando nei libri di Bengali della terza e quarta elementare (dovrebbe suonare come il nostro “Libro di Italiano delle Elementari”) una serie di temi lunghi circa mezza facciata con titoli di questo tipo: “La mucca”, “La gallina”, “La pecora”, ecc. Noto che non sono abbinati ad alcun esercizio o domanda di comprensione del testo. Mi informo e scopro che lo scopo è farli imparare a memoria, poi al momento della verifica viene estratto a sorte un tema (“La gallina”? “La mucca”?) e lo studente deve riscrivere il testo che ha gia’ letto e imparato dal libro. Non viene premiata l’esposizione a parole proprie dello stesso tema, ma la piu’ possibile coerenza parola per parola del testo che avrebbero dovuto imparare a memoria.
Nel libro di terza elementare e in quello di quarta (parlo di questi, perche’ mi sono capitati fra le mani recentemente) sono contenuti praticamente gli stessi temi “La mucca”, “La gallina”, “La pecora”, ecc, ma il linguaggio usato è congruo al maggiore livello di conoscenza dello studente (così, “la mucca è un animale a quattro gambe” del libro di terza, diventa “la mucca è un quadrupede” nel libro di quarta, ecc). Aumenta la difficoltà del testo e le conoscenze specifiche richieste da parte dello studente ma rimane costante la modalità mnemonica dell’esercizio.
Questo tipo di insegnamento mostra a mio avviso delle falle evidenti e porta al tipico fenomeno per cui lo studente con una memoria salda impara a memoria il libro e riesce benissimo nelle verifiche, mentre lo studente più “creativo” viene rimandato più e più volte finchè non “si piega” a memorizzare cio’ che gli è richiesto.
Spesso genitori preoccupati, anche con pochi mezzi economici, assumono precettori privati (cosa assolutamente comune in quasi tutte le famiglie) che nel pomeriggio ripetono le lezioni agli alunni e li forzano (anche qui tornano fuori le solite “bacchettate”) a questo esercizio mnemonico (che si presenta con minime varianti per tutte le materie: scienze, geografia, storia, ecc…).
Le cose diventano molto più difficili e articolate dalle Medie in poi. Fino alle Medie le scuole sono pubbliche e teoricamente “dell’obbligo” , ma i posti negli Istituti Statali non sono sufficienti per tutti. E’ previsto un test di ingresso per l’iscrizione alla Scuola Media Statale, e in tale occasione la competizione diventa spietata e le “raccomandazioni superano spesso addirittura i posti disponibili e nemmeno la corruzione è sempre sufficiente per raggiungere l’obbiettivo sperato. Per tutti gli studenti che non trovano posto nelle Scuole Medie pubbliche, si presentano due sole strade: se la famiglia ha mezzi economici sufficienti c’è la possibilita’ di iscriversi a una Scuola Media privata; per gli altri “l’avvenura scolastica” finisce qui e comincia il mondo del lavoro minorile.
In realta’ una terza opzione esiste, ed e’ offerta dalle scuole “missionarie”, che a prezzi abbordabili possono portare gli studenti fino alle superiori o addirittura a prestigiosi College privati nella capitale, in cambio ovviamente si spera in qualcosa (il Bangladesh e’ la terza nazione al mondo per numero di Musulmani; la popolazione cristiana si attesta sullo 0,6%).
La vita degli studenti delle Medie non e’ facile: a 5-6 ore di lezioni mattutine (6 giorni la settimana) seguono altre 2-3 ore (7 giorni la settimana) nei cosiddetti “Coaching”, ovvero dei doposcuola a pagamento in cui gli stessi insegnanti della scuola pubblica ripetono in maniera piu’ efficace le lezioni già impartite “alla meno peggio” al mattino nella stessa scuola di paese. Questo è indispensabile per avere una possibilità di passare le verifiche. Se i genitori sono pero’ sensibili all’educazione del ragazzino (al di là della veritifica in sè), al termine del “Coaching” torna la figura del precettore privato, che in genere accompagna lo studente fino al College o anche all’Università. Da notare che le verifiche non sono “in itinere” ma dalla prima elementare sino all’Universita’ ogni semestre scolastico e’ previsto un esame per ogni materia (di “fine semestre” e poi di “fine anno”), il cui superamento e’ imperativo per poter accedere al seguente semestre o anno scolastico. Dalle Medie in poi la preparazione alle verifiche comporta in genere lunghe giornate di studio e notti di veglia sui libri, magari a lume di candela. Molti studenti anche giovanissimi si esauriscono letteralmente e non pochi sono i casi di suicidio in caso di risultati insoddisfacenti.
Il sistema scolastico bengalese è molto simile a quello britannico: 5 anni di elementari, 3 anni di medie, 2 anni di superiori, 2 anni di College, a cui seguono: o l’Honours di 3 anni o il Degree di 4 anni. Dopo il “Degree” si può frequentare un Master (1 o 2 anni a seconda del soggetto) e poi un Dottorato di ricerca.
La scuola è “abbastanza” garantita dallo Stato fino alle Superiori o in alcuni casi fino al College (indico “abbastanza” in quanto lo sarebbe per Costituzione, ma alcune mancanze strutturali rendono insufficiente l’applicazione concreta della Legge).
Dall’Universita’ in poi si aprono invece due strade: o le Università private, di solito dai prezzi proibitivi e in alcuni casi dal dubbio livello di insegnamento e serietà, o le poche Università pubbliche, pressochè gratuite ma il cui accesso è strettamente limitato da durissimi test di ingresso e selezioni quasi “darwiniane”. Le Universita’ pubbliche sono presenti in sole 6-7 città del Bangladesh e spesso non forniscono un sufficiente supporto di “campus” per gli studenti che giungono da ogni parte del Paese. Spesso e volentieri l’accesso alle Università pubbliche ma soprattutto ai pochissimi posti nei Campus è ulteriormente ridotto da fenomeni di “raccomandazioni” e corruzione. E’ risaputo che però gli studenti veramente meritevoli riescano alla fine di tutto questo a trovare una possibilità di iscrizione ai Corsi universitari pubblici e magari un posto al Campus. Cio’ ovviamente e’ incoraggiante.
Le classi sono miste fino alle elementari ma si dividono fra classi “maschili” e “femminili” dalle Medie sino al termine del “College”. Le Università tornano invece ad avere classi “miste”.
In un paese dove molte ragazze sono ancora date in matrimonio a 15-16 anni, gli anni del College vedono un elevato numero di studentesse “mogli”. All’Università molte studentesse sono “mamme”, a volte di figli che stanno per iniziare le elementari. Per fortuna in Bangladesh l’istruzione femminile è accettata e socialmente apprezzata; episodi discriminatori e violenti contro l’istruzione femminile avvengono solo in zone fortemente rurali in cui l’Islam detta ancora legge.
Tutto ciò di cui ho appena parlato riguarda la vita scolastica rurale. Nelle grandi metropoli , soprattutto nella capitale, Dhaka, la situazione e’ completamente diversa. Il livello di istruzione tocca praticamente il 100% della popolazione maschile e femminile. L’ambizione dei genitori e il livello di concorrenza e’ spietato e quasi disumano. Un trend degli ultimi anni e’ iscrivere i fanciulli anche di 4 anni alle cosiddette “pre-school”, che sono una sorta di scuole materne in cui si impara però gia’ a leggere e a scrivere. In tal modo questi bambini di 6 anni arriverano all’età delle elementari in cui ben poco hanno da imparare su alfabeto e 2+2; lo scopo e’ riuscire a iscrivere i figli alle scuole elementari in cui si tengono le lezioni in lingua inglese, così che lo sforzo si possa concentrare solo sulla lingua e non più sui contenuti (in parte già trattati nelle “pre-school”).
E’ ormai considerato una vergogna non riuscire a iscrivere i figli almeno alle “English Medium School”, le scuole medie di lingua inglese, che seguono i programmi didattici delle scuole australiane, inglesi o americane. La speranza spesso è di riuscire a far ottenere ai figli borse di studio e possibilità di istruzione all’estero. Nella peggiore delle ipotesi, gli studenti meritevoli che escono da queste “English Medium School” avranno buone probabilità di ottenere un posto nei Corsi Universitari statali o nelle Università private piu’ prestigiose. Trovare poi un buon lavoro con retribuzioni da capogiro al termine di questo tipo di percorso di studi non è un’utopia.
Accanto a tutto ciò non posso però tralasciare la presenza ancora imperiosa delle “madrase”, le scuole coraniche. Queste scuole religiose forniscono istruzione a pagamento per studenti maschi fino alle Superiori: le materie di studio sono Bengali, Matematica, Arabo e Corano. Il tipo di insegnamento fornito è prettamente “confessionale” e non provvede alcun indirizzo pratico per un eventuale lavoro degli studenti che frequentano i corsi e la qualità dell’insegnamento è (onestamente) spesso discutibile. Di solito molti genitori benestanti con attività avviate o soprattutto vasti latifondi di proprietà iscrivono i figli alle “madrase” affinchè abbiano un’ educazione “morale” (più che pratica o accademica), e possano confidare in loro nella conduzione futura dell’azienda di famiglia.
Ma che dire di tutti quei giovani che in questi articolati passaggi non riescono a mantenere il ritmo e falliscono nel loro percoso di istruzione? Per le ragazze la principale fonte di speranza sta nel riuscire a “essere piazzate” in matrimonio in qualche famiglia benestante. Se la ragazza è di bell’aspetto molti genitori non corrono neanche il rischio e le danno quanto prima in matrimonio: spesso per fortuna sono i mariti stessi a farle continuare negli studi, a volte con apprezzevole successo. Per quanto riguarda invece gli studenti maschi le strade sono molteplici: entrare subito nel mondo del lavoro, provare la carriera nell’esercito oppure provare ad emigrare all’estero, in quei paesi, come l’Italia, in cui l’istruzione dell’Emigrato non ha alcun valore e in cui anzi sono ricercati proprio i lavoratori non specializzati e non educati.
Qui entra in gioco il mio lavoro. In collaborazione con una ONLUS di cui non credo sia appropriato fare il nome e della Comunita’ Europea, cerchiamo di provvedere vari tipi di istruzione e addestramento professionale per i giovani che stanno per emigrare in Italia. In particolare il mio sforzo e ruolo specifico sta nel tentare di dare loro una conoscenza base della lingua italiana, così che possano con le proprie forze e con la propria testa farsi un futuro e una vita una volta giunti in Italia o in Europa, magari sfuggendo ai tentacoli degli “agenti schiavisti” che organizzano i loro arrivi nel nostro paese, più o meno legalmente.
Come temevo, il “paio di cartelle” si è portato a quasi quattro. L’argomento è molto interessante, e sicuramente meriterebbe uno spazio più ampio e un’analisi piu’ scentifica. Chiedo perdono per aver accennato a vari punti senza averli potuti approfondire quanto meriterebbero. Spero però di cuore di essere riuscito a rendere un’idea generale della situazione scolastica del Bangladesh. Ma soprattutto spero di essere riuscito a stuzzicare la vostra curiosità.
Un saluto dalle scuole del Bangladesh.