“Diario di un maestro” venne caldeggiato e trasmesso dalla RAI nel febbraio del 1973, 290 minuti in quattro puntate domenicali, rilevando uno dei più alti indici di gradimento di sempre. Fu un esperimento – come dice lo stesso De Seta – che non si proponeva di cambiare radicalmente le vite di quei ragazzi di periferia, ma di esplorare e verificare in che modo il sistema scolastico è capace di interrogarsi.
Bruno Cirino, il maestro D’Angelo, è un evidente veicolo fisico della lezione della scuola di Barbiana di don Milani. Alla fine è lui ad imparare più di qualunque suo alunno, perché scopre quanto possa essere inconsistente efalso recitare una poesia di Pascoli, quando non hai il bagno in casa e il tuo futuro si riassume nella speranza di uscire al più presto da un riformatorio. Al maestro supplente sono andati gli «scarti», gli indesiderati. Una classe di rifiuti, una classe ripudiata dagli stessi educatori. «Insomma, faccia quel che può, signor D’Angelo».
Non vanno a scuola, i bambini, preferiscono dare la caccia alle lucertole. E il maestro porta le lucertole in classe, asseconda la loro indagine scientifica, la legittima. E permette loro di costruire un luogo. La pedana della cattedra diventa una libreria, i banchi di scuola vanno via e diventano tavoli di lavoro. La storia orale dei loro padri incontra la realtà delle cicatrici sulla pelle dei nonni, figlia della seconda guerra mondiale. Quella quinta elementare, in soli tre mesi, si è trasformata in un’officina di creatività. Che dovrà però fare i conti con gli esami di Stato, simbolo della stagnante meccanicità di una scuola che imbottisce di date e svuota di vita vissuta.
Ne è venuto fuori un gioiello di cinema in presa diretta: è un po’ merito di una solida ispirazione al racconto “Un anno a Pietralata”, un testo di fortissima umanità firmato dal maestro e scrittore Albino Bernardini.
Recensione in http://secondavisione.wordpress.com
È successo così: scopro improvvisamente che, allegato a un noto quotidiano meneghino, è uscito finalmente in dvd, dopo 40 anni di oblio, Diario di un maestro di Vittorio De Seta, un film che da anni tento di recuperare. Mi scapicollo nell’edicola più vicina a comprarlo, per poi scoprire, esattamente dieci minuti dopo l’estatico acquisto, che quello stesso giorno veniva pubblicata la versione integrale in doppio dvd più libro da 180 pagine per una nota casa editrice ambrosiana (Feltrinelli, n.d.r.). E ovviamente non ho saputo resistere e l’ho comprata. Direte voi: che geppo. Ma vuoi mettere ora la soddisfazione di potersi bullare di possedere sia la versione cinematografica di 135’, accuratamente restaurata dal laboratorio L’Immagine Ritrovata della Cineteca di Bologna, sia la versione originale televisiva di 270’? Questo post vuole quindi essere un invito a fiondarvi immediatamente fuori di casa, qualsiasi cosa stiate facendo, e accorrere a comprare Diario di un maestro, uno dei film più straordinari che mi sia capitato di vedere negli ultimi anni, Voi mi chiederete: ma se dovessi scegliere tra la versione cinematografica e quella televisiva, quale si dovrebbe acquistare? Ebbene, miei giovin lettori, inutile dirlo: quella televisiva di oltre quattro ore, nonostante non sia restaurata, visti gli evidenti segni del tempo sulla pellicola.
Essì, perché forse uno degli aspetti più incredibili di Diario di un maestro è il suo essere prodotto televisivo, andato in onda nel 1973 in 4 puntate alla Rai, riscuotendo ascolti record che hanno superato i 12 milioni di spettatori. Quella stessa Rai che ora la cosa più eclatante che produce è una fiction su Don Giussani. The times they are a-changin’. Tratto dal libro di Albino Bernardini Un anno a Pietralata, Diario di un maestro è il racconto di resistenza del maestro Bruno D’Angelo, che al primo incarico si trova a dover gestire una turbolenta classe quinta di “malestanti”, come si definiscono loro: ragazzi di strada e non ancora di vita nella degradata borgata romana del Tiburtino 3°, “scarti” delle altri classi per motivi disciplinari. L’arrivo, la diffidenza, i dubbi, la violenza, le scoperte, le speranze, le baracche, i padri, il futuro, la vita, l’universo e tutto quanto. Diario si potrebbe quasi definire un film sperimentale e innovativo. Sicuramente lo è il metodo pedagogico del maestro, lontano mille miglia dal nozionismo sterile ed empirico dei libri e dei programmi ministeriali, incapaci di stare al passo coi tempi e la società, in favore di un approccio educativo legato alle esperienze di ciascuno. Una scuola basata sulla vita e non sui libri. Ma soprattutto per come è stato girato.
Immaginate una scheggia impazzita di nouvelle vague che va in onda nelle case degli italiani in prima serata. Un incrocio tra la realtà dei ragazzi, tutti presi dalle strade della borgata, e la finzione del maestro interpretato dallo straordinario e compianto Bruno Cirino, attore di bravura e sensibilità rara (tutto il contrario di suo fratello – nella vita reale – Paolo Cirino Pomicino n.d.a). Sperimentale per la sceneggiatura presto abbandonata i primi giorni di riprese, in favore di un canovaccio che permettesse a Cirino di improvvisare con i ragazzi, e la troupe leggera composta da De Seta, dal fonico di presa diretta, da una segretaria di edizione e da un direttore della fotografia e operatore come Luciano Tovoli, che si era costruito una speciale macchina da presa a mano, sorta di primordiale steadicam per muoversi liberamente, con la responsabilità di cogliere tutto quello che accadeva tra le quattro mura della classe: gesti, sguardi, battute, liti, risate. Ne esce fuori un’opera unica, totale e libera, che partendo dal documentario restituisce la verità attraverso lo sguardo puro del cinema. È un film d’amore, pieno di umanità, vivo e pulsante, ancora tremendamente attuale. A suo modo un film partigiano. Che fate ancora in casa?
Clip del film da You Tube:
http://www.youtube.com/watch?v=nZwOA7zIgYI&feature=player_embedded