Mi fa piacere partire dal nuovo blog di Renato Barilli che dice:
“Arte, letteratura, attualità: il Da Cimabue a Morandi. Una mostra che “s’aveva “da fare”
Oggi è possibile “goderla con gli occhi”, condivisibili e replicabili le felicitazioni al prof. Fabio Roversi Monaco, che dalla Presidenza della Fondazione Carisbo, ha realizzato un grandioso circuito museale intestato a “genus Bononiae”, con al culmine il Palazzo Fava, oggi ospitante la mostra.
“A Vittorio Sgarbi, riconosciamo di aver finalmente colmato un vuoto”, continua Barilli, lasciandone però a mio parere un altro; non l’ha dotata di un apparato didattico che consenta a visitatori non bolognesi di inquadrare il contesto vissuto e interpretato da settecento anni di pittura bolognese. Mi pare che gli ultimi secoli aspirino ad approfondimenti ulteriori, e in tutti il rimando alle realtà museali da visitare per cogliere miriadi di ulteriori aspetti artistici. Sul Trecento, sul naturalismo seicentesco, il neoclassicismo. il Novecento, schiacciato necessariamente da Longhi ai primi decenni, ma oggi ricco di grandi espressioni.
Con l’occasione della mostra si celebra, infatti, la famosa prolusione che Roberto Longhi tenne nel 1934 , nell’assumere la direzione dell’ Istituto di Storia dell’arte bolognese-Università di Bologna, e tracciava l’identikit della “Felsina pittrice”, in grado di esprimere una propria originalità paragonabile a Firenze e Venezia, non a loro succube. Felsina pittrice, che già nel 1678 Carlo Cesare Malvasia celebrava nell’autorevole storia della pittura bolognese dal medioevo all’età barocca.
Lungo le sale, su tre piani dell’esposizione, si ripercorrere la storia dell’arte italiana e bolognese, attraverso una serie di significative testimonianze dalla fine del Duecento al Novecento;
la mostra è, dunque, un’occasione irripetibile grazie anche alla collaborazioni con i musei comunali, altri musei italiani e altre istituzioni cittadine, ecclesiastiche e privati. Il visitatore ha una duplice possibilità di lettura, gli artisti bolognesi o ospitati dai signori della città e lo sviluppo complessivo della storia artistica cittadina.
Al piano terra ci accolgono due grandi sculture: Madre folle di Martini, e la Maddalena di Canova, dolenti padrone di casa e la splendida Ruth di Hayez che emerge morbida e altèra da un cielo irrorato dai colori del tramonto.
Al primo piano si può osservare da molto vicino la Madonna in trono con il Bambino e i due angeli di Cimabue, per secoli conservata nella chiesa di Santa Maria dei Servi, restaurata recentemente. Maestosa nel blu del manto su fondo oro, in una posizione rigida, ma collocata in una composizione articolata e complessa, che va oltre le icone bizantine. Regge sulle ginocchia un bimbo dinamico, che vuol accarezzarla. Nelle opere di artisti successivi, soprattutto nella madonna di Vitale il rapporto madre-figlio diventa sempre più tenero, e Gesù sgambetta, abbraccia, si stravolge. Di Giotto una Madonna severa, e Giotto in tutto il ciclo degli Scrovegni non pone mai il sorriso sui volti!
A questo punto valeva la pena di invitare i visitatori a raggiungere la Pinacoteca per ammirare gli splendidi affreschi di Vitale della Natività di Mezzaratta, dove gli angeli danzano vivaci e tutto è pieno di ondate di affettività. Sarebbe possibile conoscerne le avventure per salvarla da tentativi di distruzione nella linea gotica, paragonabili alle vicende celebrate nel film di e con George Clooney sui “Monuments Men”.
Invitare a raggiungere la Pinacoteca e le Collezioni Comunali per sostare tante opere splendide di Simone dei Crocefissi, oltre quelle esposte a Palazzo Fava.
Ma dalla Pinacoteca è giunta l’Estasi di Santa Cecilia, dipinta da Raffaello attorno al 1515, per la Cappella funeraria fatta erigere da Elena Duglioli Dall’Olio nella chiesa di San Giovanni in Monte (ove oggi è in copia , sull’altare per cui era stata progettata).
Dagli strumenti musicali, rappresentati con cura, si sale con lo sguardo, guidati dalla luce, verso le figure femminili, nobili ed eleganti in tonalità giallo oro e grigio argento, autorevoli, circondate da Santi, fino agli angeli musicanti in cielo, appena sopra il loro capo, molto compiti, per una conclusione perfettamente armonica dell’insieme..
La Fondazione celebra l’evento con vari concerti a San Colombano , dove ha valorizzato la propria raccolta di strumenti musicali antichi.
Straordinarie anche le opere di Aspertini, vigorose , certo direte, è San Cristoforo, un gigante che regge sulle spalle un bimbo irrequieto, ma sereno, quasi anticipazione del piccolo principe…
Le tonalità più cupe della Sacra Famiglia, sembrano influenzate da venti nordici.
Nicolò dell’Arca è presente con due opere , due diversi San Domenico, distanziati da decenni, tra loro, non paragonabili al Compianto in Santa Maria della Vita, che nessun visitatore dovrebbe perdere, a poche centinaia di metri dalla mostra.
Suggestivo Ercole de’ Roberti con Santi dal panneggio morbido o dall’armatura scintillante. Parmigianino suggerisce un misticismo intrigante con il San Rocco . Ludovico Agostino e Annibale Carracci trionfano negli affreschi, soprattutto nel mito di Giasone e il Vello d’oro. Con una Medea alla fonte profetica rispetto ad altre figure femminili fino al novecento.
Piero Faccini si cimenta in una enorme pala, con un’Annunciazione che lascia intravedere messaggi della contro- riforma, l’angelo è incerto, contesta, Maria distratta.
Nosadella presenta un’originale Madonna con bambino , i putti angelici si arrampicano alla finestra dai vetri molati alla veneziana, siamo in un interno reale di una casa nobiliare.
Lavinia Fontana si cimenta in una Minerva desnuda, vista di schiena, come la Venere di Annibale Carracci, questa molto meno aggraziata.
Bartolomeo Passerotti spazia da un Padre Eterno agitato, ad un Cardinale serio, ad un ambiguo Ritratto allegorico di Ulisse Aldrovandi.
Mastelletta ci trasporta nel contado e nella visione di paesaggi dilatati e minuti, quasi un naif; Guercino torna alle figure: tenera la Madonna con la rosa, il bimbo incuriosito è attratto dal fiore, poi un’Annunciazione ben orchestrata, dove gestualità e abiti di Maria ci rimandano al Lotto, le presenze dell’Angelo e di Dio alle indicazioni del Cardinale legato
la Lucrezia di Guido Reni, dall’ornato morbido e l’Europa in volo di Albani? o della scuola di Guido Reni, con suoi ritocchi? Raccontano di slanci emotivi più liberi rispetto a tavole sacre, dove troppo spesso le figure sono stereotipate, con gli occhi al cielo, ma apatiche ( i santini).
Varrebbe la pena di trovare un’ occasione per affrontare il tema della libertà espressiva, della sincerità artistica nell’applicare le norme cardinalizie della Controriforma, dell’arcivescovo di Bologna Gabriele Paleotti .
Intensi i rittratti di Contarini, nella coppia di anziani come in San Girolamo; Armonioso l’amorino di Elisabetta Sirani, proprio una piccolo gioiello, come le perle che porge, eternamente lucenti, ai Medici.
Donato Creti si cimenta nelle Virtù , rese in abiti femminili da donne nobili ed energiche.
Bisogna arrivare all’ ’800 per scorci bolognesi caldi e suggestivi grazie a Basoli, da Piazza Maggiore a Via Santo Stefano, seguiti da Verso San Luca di Bertelli…il Bertelli dalle suggestioni della campagna bolognese.
Siamo giunti al terzo piano.
Baruffi celebra il liberty, mentre Casarini volge all’astratto.
Certo sempre avvincenti le nature morte di Morandi, in questa occasione alcune diverse da quelle raccolte nel Museo a lui dedicato, poste in dialogo con quelle di Pozzati.
Bianca Arcangeli è ricordata nei delicati cromatismi dell’Appennino, Norma Mascellani con un olio: San Luca, reso come fosse uno dei suoi acquarelli veneziani.
Pizzirani rappresenta madre e sorella compite, malinconiche e Romagnoli vi contrappone un’attraente modella, Canarini alza sommariamente grattacieli colorati , Mayani ci rimanda a un paesello che dorme da tonalità acquerellate.
Una figura bronzea di Minguzzi si contorce sul divano, per capirne il valore, va colta l’occasione per vedere i suoi partigiani a Porta Lame frementi di vitalità.
Manai lascia tracce su un trittico come fossero ombre che sorvolano il presente.
Forse è questa la metafora conclusiva di una mostra che non va persa, ma esige approfondimenti.
Ecco le proposte dei Servizi educativi di Genus Bononiae per visite guidate per qualunque tipo di pubblico, da concordare, altre programmate, il sabato e la domenica, rivolte a chi vuole usufruire di questo servizio senza far parte di un gruppo.
Per le famiglie è disponibile una visita particolare che coinvolge grandi e bambini ogni domenica pomeriggio, per la quale è preferibile prenotare.
E’ possibile organizzare percorsi inediti che accompagnano i visitatori alla scoperta della mostra Da Cimabue a Morandi. Felsina pittrice e delle altre sedi di Genus Bononiae,
Informazioni e prenotazioni
Tel. 389-5933247 dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 15.
Email: cimabue.morandi@genusbononiae.it
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IL BLOG DI RENATO BARILLI (con recensioni di mostre e di libri): http://www.renatobarilli.it/