Il discorso che Nietzsche-Zarathustra pronuncia sui dotti è ferocemente critico – anzi, a volte il tono è quello della vera e propria invettiva – ma è, anche, di straordinaria efficacia rappresentativa.
Non importa molto sapere a chi fa riferimento l’autore; ognuno di noi può raffigurarseli come certi personaggi depositari e dispensatori di un sapere presunto, che ha incontrato nella sua vicenda di formazione.
F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra – Un libro per tutti e per nessuno, Milano, Piccola Biblioteca Adelphi, 1995, pp. 143-145.
Mentre giacevo nel sonno, una pecora trovò a pascersi alla corona d’edera che mi cinge il capo, – ne mangiò, e disse: “ecco, Zarathustra non è più un dotto”.
Così parlò e se ne andò, con fare greve e tronfio. Un fanciullo me l’ha raccontato.
Volentieri sto qui, disteso, dove i fanciulli giocano, presso le mura diroccate, tra i cardi e i rossi fiori del papavero.
Per i fanciulli sono ancora un uomo dotto, e anche per i cardi e i papaveri rossi: innocenti, persino, quando sono cattivi.
Ma per le pecore non lo sono più: così vuole la mia sorte – sia benedetta!
Giacché questa è la verità: io sono uscito dalla casa dei dotti: e per giunta ho sbattuto la porta alle mie spalle.
Troppo a lungo la mia anima sedette affamata alla loro mensa: io non sono addestrato alla conoscenza al pari di loro, per cui conoscere è come schiacciare le noci.
Io amo la libertà e l’aria sulla terra fresca; preferisco dormire su pelli di bue, che sulle vostre dignità e rispettabilità.
Io sono troppo ardente e riarso dai miei stessi pensieri: spesso mi si mozza il fiato. E allora bisogna che fugga all’aperto, via dal chiuso delle stanze polverose.
Loro invece siedono freddi nell’ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori, e si guardano bene dal mettersi a sedere dove il sole arde i gradini.
Simili a quelli che in mezzo alla strada guardano a bocca spalancata i passanti, essi pure aspettano e guardano a bocca spalancata pensieri, che altri hanno pensato.
A toccarli con mano, ti impolverano tutto come sacchi di farina, senza volerlo: ma a chi verrà in mente che la loro polvere sia stato grano, la gialla voluttà dei campi assolati?
Se fanno i saggi, le loro piccole sentenze e verità mi raggelano; spesso alla loro saggezza è mischiato un odore, che sembra venga dalla palude: e, in verità, ne ho già udito anche gracidare la rana!
Abili e con dita versatili: che mai può la mia semplicità a petto della loro complicatezza! Quelle dita sanno infilare l’ago, intrecciare i fili e tessere la trama: e così tessono le brache dello spirito!
Ottimi orologi: purché non si dimentichi di caricarli giusto! E allora ti dicono l’ora senza fallo, mentre emettono un rumore discreto.
Come mulini all’opra e come magli: provate a gettar loro la vostra sementa! – essi sanno di certo macinare ben bene il grano, e ridurlo in polvere bianca.
Non perdono mai di vista le dita l’un dell’altro e non si fidano di nessuno. Ingegnosi nelle piccole astuzie aspettano coloro la cui scienza zoppica – aspettano come ragni.
Li ho sempre visti preparar veleni, circospetti: e nel far ciò infilano le dita in guanti di vetro.
Sanno giocare anche con dadi truccati, e li ho trovato a giocare con tanto zelo che grondavano sudore.
Noi siamo estranei a vicenda, e le loro virtù mi vanno a genio ancor meno delle loro falsità e dei loro dadi truccati.
E quando abitavo da loro, stavo sopra di loro. Perciò me ne vollero.
Che uno cammini sulle loro teste non vogliono neppure sentirlo dire; e così posero tra me e le loro teste, legno e terra e immondizie.
Così attutirono il rumore dei miei passi: e finora peggio di tutti sono stato udito dai dotti.
Tra se stessi e me posero le falle e le debolezze di tutti gli uomini – “soffitto falso” lo chiamano nelle loro case.
Ciononostante io cammino coi miei pensieri al di sopra delle loro teste, e perfino volendo camminare sui miei errori, mi troverei pur sempre al di sopra di loro e delle loro teste.
Perché gli uomini non sono uguali: così parla giustizia. E a loro non dovrebbe essere lecito volere ciò che io voglio.
Così parlò Zarathustra.