Per gentile concessione dell’editore Gedit, pubblichiamo un brano del racconto “Città” tratto da “Icosaedro“, di Bruno d’Amore, uscito nell’ottobre 2003. Si tratta di un libretto di “venti più uno” racconti, scritti “rubando tempo alle cose matematiche” nell’arco di vent’anni.
L’autore, docente di Didattica della Matematica presso l’Università di Bologna, è già ben conosciuto anche per un suo saggio sulla matematica in Dante…(“Più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla. Incontri di Dante con la matematica“, Pitagora Editrice, Bologna, 2001), e per la sua attività di ricerca per la formazione primaria.
Bruno D’Amore, Icosaedro, Bologna, Gedit, , 2003, p. 126
La mia classe consta di ventitré allievi tra i 6 ed i 16 anni; qualcuno sa già leggere ma pochi sanno scrivere. Le lezioni si svolgono il sabato dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18 e la domenica con lo stesso orario. Dal lunedì al venerdì i ragazzi tornano a casa, con la famiglia, e vivono in situazioni disperate di continua barbarie, di abbandono, di sfacelo morale e psichico. Al sabato mattina li ritrovo ogni volta più spauriti, più malconci intellettualmente; e, ogni volta, devo ricominciare daccapo. Pochi sanno contare e quasi nessuno ha neppure le più rozze nozioni di geometria. Sono solo tutti incuriositi dalla storia: è una costante comune che ritrovo di anno in anno. I miei allievi sono tutti figli di impiegati municipali, si sa; gli altri bambini non possono frequentare le scuole perché le lezioni si tengono nel palazzo municipale nei giorni di presidio. Io vivo qui perennemente, faccio anche da bidello, da custode, da direttore, da tutto. Preparo i compiti, pulisco l’aula. Ogni classe ha un insegnante che ha tutte le funzioni possibili. In cambio riceviamo vitto e alloggio e null’altro. Sì, un po’ di vestiario, qualche extra. Ma qui dentro si sta bene, abbastanza tranquilli. Non metto il naso fuori dalla porta da almeno sedici anni e ricordo ancora con terrore quella mia esperienza di sedici anni fa. Tra gli insegnanti c’è T. che raccoglie i bambini da 1 a 6 anni; io da 6 a 16 anni; M. da 17 a 22 anni. Si passa automaticamente da una classe all’altra per compimento delle età 7 e 17. A 22 anni si riceve un diploma che chiamiamo ‘laurea’ e che abilita alle professioni municipali. Quando troveremo qualcuno veramente in gamba, dovremo allettarlo con l’offerta di un posto da insegnante, specie per sostituire T. che ha già più di 80 anni e che quindi ci abbandonerà da un momento all’altro. I miei allievi di 16 anni escono dalla mia classe, in generale, che sanno leggere abbastanza bene e che sanno scrivere in carattere stampato nome e cognome piuttosto velocemente. Qualcuno ha anche alcune nozioni di calcolo; sanno eseguire operazioni dirette e inverse con una certa abilità, ma non con numeri di più di due cifre. Una volta è capitata ad M. una ragazza eccezionale in matematica. Abbiamo pensato di trasferirla nella turris eburnea per affidar- la agli scienziati. Ma non volle saperne di uscire di qui neppure quando le assicurammo che c’era una scorta armata, un’auto blindata apposta per lei. Temeva di essere rapita e violentata dagli stessi poliziotti che dovevano scortarla. Aveva paura del mondo esterno. Dio mio. A questo siamo arrivati, a non poterci neppur fidare dei municipalizzati. C’è qualche difficoltà nel rifornimento delle materie prime, carta ed inchiostro per le penne biro. In parte si rimedia utilizzando una piccola distesa di sabbia creata all’interno della classe; lavorando di bacchetta o con le dita, ci arrangiamo a scrivere sulla sabbia. Una gran bella idea. Strano che nessuno ci abbia mai pensato prima. Si risparmia un sacco di materiale. Quanto ai libri, sono riuscito a salvare i miei sussidiari ed i libri delle scuole medie, intermedie e superiori che usai da bambino alle scuole normali, quando ancora esistevano, molte decine d’anni fa… Ma i ragazzi li trovano molto difficili. Non uso mai libri delle superiori, ma solo il sussidiario che utilizzavo alle elementari. I ragazzi non riescono a capire le cose che vi sono scritte; le trovano difficili, oscure. In verità, anch’io faccio fatica a capire tutto fino in fondo. Per esempio, non ho problemi in storia, mentre ne ho qualcuno in geografia; parole come monte, valle, fiume, mare, stanno svanendo dalla mia memoria. Così, non ho quasi alcun problema in aritmetica, mentre non riesco a capire neppure un po’ di geometria. Ci sono scritture stranissime che non hanno senso. Si tratta di evidenti errori di stampa: ma è possibile che in tanti anni io non me ne sia mai accorto? Ci sono frasi nella quali compaiono parole senza senso, con simboli strani;
Sl=pB.h:2, per esempio, è scritto in grande sotto un disegno di una torre a punta. La elle è troppo in basso, come la B. Ricordo che = vuol dire uguale; ma se : vuol dire diviso, come diavolo si fa a dividere la lettera h per 2?