Si tratta proprio di un romanzo, attualmente quasi dimenticato, dell’autore del ben altrimenti famoso “Cuore”, di quell’ “…Edmondo dei languori il capitan cortese…” – così in un sonetto lo sbeffeggiò Carducci.
Il libro, tutt’altro che “sentimentale”, testimonia, attraverso le vicende del protagonista, il maestro Emilio Ratti, “la conoscenza documentata dei problemi scolastici e, in particolare, delle tristissime condizioni in cui versava la classe magistrale in quello scorcio di fine secolo. L’autore insomma deve aver preso molti spunti dagli articoli, dalle lettere, dalle denunce e dalle testimonianze che comparivano frequenti sulle pagine delle riviste educative.”
(A. Gramigna, “Il romanzo di un maestro” di Edmondo De Amicis, Firenze, La Nuova Italia, 1996, pag.25).
E. De Amicis, “Il romanzo di un maestro“, Milano, Garzanti, 1960, pp. 138-141 (1)
“All’ora fissata il maestro si trovò alla casa del comune, impaziente di vedere tutti insieme i suoi colleghi; poiché la precoce esperienza del mondo gli aveva già svegliato quella curiosità di conoscere nuovi originali umani, che suole venire solo più tardi, nell’età dell’osservazione.
[…]
Cinque minuti dopo entrò il sindaco, seguito dal soprintendente.
Era sindaco da quattro anni. Era stato lui il fondatore del grand’albergo del paese, comprato poi da un trattore di Torino, il quale l’aveva ampliato ed abbellito; e ora accudiva ai suoi averi, che erano due case e una buona estensione di boschi. La sua faccia diceva la sua antica professione: una faccia di cuoco larga, sbarbata, rosata, una vera vescica di lardo, dalla quale sporgevano due labbroni di satiro, che scoprivano dei grossi denti bianchi; e aveva la testa rapata e il collo corto.
Entrò con la scioltezza pensata d’un commediante, sorridendo a tutti, e dicendo:
– Signori insegnanti, s’accomodono.-
[…]
Era quello l’anno in cui doveva andare in vigore la nuova legge dell’istruzione obbligatoria, e il sindaco aveva radunato gl’insegnanti per dar loro qualche avvertimento al proposito. E cominciò il suo discorso sgrammaticando e piombando le parole, ma con una certa franchezza.
– Quest’anno dunque, signori insegnanti, posto che andiamo in vigore con la nuova legge dell’istruzione obbligatoria, io li ho chiamati giusto per questo. Loro mi conoscono, sanno come sono appassionato per l’istruzione. E precisamente quest’anno bisogna raddoppiare l’attività. Io dico fin d’ora: si tratta di dichiarare all’ignoranza una guerra a morte. A morte. Questa è la mia parola. La legge è sacrosanta. A noi di farla rispettare, tutti con buona volontà, spronare i parenti e le famiglie, e di aver la scuola al completo, e farsi onore. Per conto mio dichiaro che andrò avanti senza guardare in faccia a nessuno, e adesso il segretario darà a ciascheduno l’elenco degli obbligati, che abbiamo fatto con tutta esattezza e puntualità. E ripeto: non si tratta di transigere, saranno rigorosamente consegnati al signor pretore i nomi dei parenti che negligentano. Centesimi cinquanta d’ammenda, ripetuta due volte, e via dicendo, lire tre, lire sei, lire dieci. Io li prego d’avvertire loro stessi i rispettivi alunni e, al bisogno, fare un passo alle case di padri e madri, a persuadere, che tutto anderà bene, con vantaggio della popolazione. Ripetiamo: istruzione, energia, e non stancarsi mai. Questo, in via generale, per quanto riguarda l’applicazione della legge.-
Qui, mentre tutti s’aspettavano che, finito l’esordio, entrasse nel vivo del discorso, s’accorsero invece che il discorso era finito.
– Per il resto, – continuò il sindaco – non ho altro da dire. Signor segretario, gli elenchi.-
[…]
Il maestro capì alla prima che sotto a quel programma bellicoso del sindaco ci doveva essere parecchia ciarlataneria, come anche una non leggera provvigione di quella brutta cosa ch’egli voleva combattere a morte. Ma pensò che, se non altro, quel sindaco lì non gli sarebbe venuto a rompere il capo con la grammatica. Visitando la scuola, peraltro, egli vide che ci sarebbe stato, prima dell’ignoranza, un’altra grande nemica da combattere, ch’era la sudiceria. Le scuole maschili erano al pian terreno d’una vecchia casa addossata al monte, che avevan ridotta alla meglio a locale scolastico, buttando giù dei tramezzi: in una delle stanze del piano di sopra c’era la classe femminile superiore, e nell’altra, di là del pianerottolo, ci stava l’inserviente comunale con la moglie.
Quello del Ratti era uno stanzone basso, rischiarato da due piccole finestre a inferriata, attraversato per mezzo da un lunghissimo tubo di stufa, col soffitto nero di fumo, e una parte segnata dall’unto, forse quadrilustre, delle teste degli scolari. C’eran quattro cartelloni, due dei quali, tarlati e infunghiti, avevan la data del 1847. I muri macchiati d’umidità, i vetri listati di carta, i ragnateli tesi negli angoli, e una scopa sporca che faceva bella mostra di sé nel vano d’una finestra, compivano il quadro…”
1) “Il romanzo di un maestro” fu concluso da De Amicis nel maggio del 1886 insieme a “Cuore“. L’editore Treves decise di pubblicare immediatamente il secondo che, come libro di lettura per le elementari, prometteva una maggior resa commerciale. Il “Romanzo” uscì solo nel 1890, anno in cui l’autore aderì pubblicamente al movimento socialista.