In una scuola di un paese, il Tragedistan, luogo immaginario e realissimo, viene portato avanti dagli insegnanti il progetto ministeriale di riscrittura attualizzante dei classici della letteratura per renderli appetibili agli allievi. Il progetto ha un successo strepitoso, anche se imprevisto: induce gli studenti a procurarsi e a leggere di nascosto i testi classici in versione originale.
È una parodia della nostra scuola, che, però, stranamente, riafferma il valore dell’insegnamento. Basta leggere la requisitoria del professor Baha ,” professore-scrittore o scrittore-professore”.
A. Banda, Scusi, prof, ho sbagliato romanzo, Parma, Guanda, 2006 pp. 175-184
“Signor Preside, care colleghe e cari colleghi” comincia Baha, “ è vero: abbiamo lavorato molto al GRAPRORISCLA, abbiamo profuso molta energia. Ma ne è valsa la pena? Mi risulta che gruppuscoli di alunni si passino nottetempo, come contrabbandieri, come carbonari, copie degli originali dei Promessi Sposi, della Vita nuova, e persino dell’Ortis! Mi risulta che siano stomacati dalle nostre rielaborazioni attualizzanti, al passo coi tempi! Se era questo il fine che voleva raggiungere il GRAPRORISCLA, cioè indirizzare i giovani verso i classici italiani, in tutta la loro splendida inattualità (che è in realtà l’attualità vera), se era questo il nostro fine, allora è stato raggiunto.”
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“Eppure” prosegue Baha, “ nutro più di un dubbio che nelle menti ministeriali e/o regional – provinciali tragedistane alberghi tanto obliquo machiavellismo. Che lì, all’interno di quelle cosiddette amministrazioni scolastiche, ci sia qualcuno capace di capire che, per ottenere qualcosa, si debba cercarne l’opposto. E allora che senso ha avuto, tutto ciò? Che senso ha? O, detto in altri termini, che ci stiamo a fare noi qui, a scuola? A che serve la scuola? Cos’è la scuola? Cos’è diventata? O. come è sempre stata? Lasciamo perdere i programmi ufficiali, le circolari, le ordinanze, i PIF i POF i PEI, e il DIVA e il SARPIAD, gli UEI, gli OSA, gli ISA. Lasciamo stare anche i numerosi pamphlet del lamento scolastico, come sono stati autorevolmente definiti, cioè gl’innumerevoli testi in cui professori e professoresse si lagnano dell’inverosimile decadenza della scuola di oggi rispetto agli austeri e severi studi che si facevano nelle scuole di un tempo. Visto che noi insegniamo letteratura (quelli di noi che lo fanno) rivolgiamoci a essa. Non abbiamo paura d’interrogare i testi letterari. Non crediamo a quelli che c’impongono di distinguere tra lingua e letteratura, come se fossero due cose differenti. Anzi: questi qui chiamiamoli col loro nome: IMBECILLI. Costoro evidentemente non hanno letto Dante, impegnati a leggere come sono gl’inutili manualucci di didattica, didattica integrata e socio-psico-pedo-pornografia. Se avessero mai preso in mano Dante, saprebbero che, per lui, la letteratura altro non è che la GLORIA DELLA LINGUA! Capito? Sissignori, la letteratura questo è: il CORPO GLORIOSO DELLA LINGUA. Altro che ridicole distinzioni surrettizie tra lingua e letteratura.”
Dan Baha apre la borsa, ne cava un volume rosa.
È uno delle Belles Lettres. Non l’avrà mai aperto, se non per l’occasione, pensa la Trifena.
Dan Baha legge ad alta voce:
“ I ragazzi nelle scuole rincoglioniscono completamente, perché non vedono e nè sentono cose reali.
“ Signor Preside, cari colleghi, lo sapete cos’è questo? È il primo capitolo del Satyricon di Petronio.”
Il testo originale recita stultissimos fieri, diventano stupidissimi: le solite deformazioni del Baha, chiosa mentalmente Crepereia Trifena.
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“ Ed è, come il secondo, una lunga tirata contro le scuole di allora, scuole d’eloquenza, fossero del primo o del secondo o del terzo secolo dopo Cristo. La data è incerta. Certa è l’insoddisfazione degli studenti dell’epoca.
“E i capitoli immediatamente successivi, terzo e quarto, del Satyricon sempre, cosa sono? Sono la replica del professor Agamennone, cioè del retore Agamennone, che si difende dalle accuse dello studente Encolpio, scaricando la colpa su chi? Ma sui genitori degli alunni. Che, in nome della fretta, vogliono per i loro figli scuole sempre più facili. Bisognerebbe spaccargli la schiena, ai genitori dice accalorandosi Agamennone.”
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Macchè, Lo contraddice in silenzio Crepereia, Agamennone dice: parentes obiurgatione digni sunt, cioè i genitori son degni di rimprovero; Baha è malato d’esagerazione!
“ Insomma, la situazione era tal quale a oggi: distacco scuola – vita; intrusione indebita dei genitori, che, come oggi, non capiscono niente, e nondimeno vogliono sempre dire la loro
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“Adesso invece balziamo in avanti. Un gran bel salto. E siamo in pieno Rinascimento. Rabelais. La molto spaventevole vita del Grande Gargantua, capitolo XVI. È il padre di Gargantua, Grangola, ad accorgersi che il figlio alla scuola dei pedagoghi Thubal Oloferne e Gobelin Bridè (Sciocco-con-le-briglie) non ne profittava niente, di quell’insegnamento e, quel ch’è peggio, diventava folle, scemo, rimbecillito, stupido. (Una volta tanto un genitore che fa osservazioni puntuali!) Da Petronio a Rabelais sono passati secoli e secoli, più d’un millennio, ma la sostanza non cambia: la scuola rincoglionisce!
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“ Nessuno mi toglie dalla testa che tra i motivi fondamentali che spinsero alla conversione Agostino ci fosse l’abbandono dell’insegnamento. Chissà che non fosse proprio il motivo fondamentale.
“Agostino, è noto, insegnava retorica a Cartagine – e lì gli studenti erano, a dir poco, tumultuosi. Irrompevano nell’aula berciando, strepitando, rendendo difficile la lezione. Vi ricorda niente questo fatto? Comunque: allora Agostino si è trasferito a Roma, dove, in effetti, gli studenti erano più disciplinati – però, al momento di pagare, se la squagliavano senza lasciare tracce. Decide quindi di passare a Milano, dove insegna, ma non per molto.: Con quale gioia riferisce delle sue dimissioni dalla scuola, giusto in coincidenza con le vacanze per la vendemmia (bei tempi, quando esistevano queste benedette feste agresti!). Non ne voleva più sapere di stare su quella cattedra di menzogna a spacciar parole vane.
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“Quali conclusioni trarre da questo andirivieni nella storia e nei sistemi scolastici più vari? Una sola, molto semplice, a mio parere: LA SCUOLA È IRREDIMIBILE, SEMPRE E OVUNQUE!”
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“Qualunque tipo di scuola, pubblica, privata, parificata, laica, confessionale, steineriana, montessoriana: irredimibile, irredimibile! Qualsiasi metodo adotti, autoritario, democratico, permissivo, anarco-casinistico: irredimibile, irredimibile!
“Ma non crediate che io disprezzi l’insegnamento o, come scrivono i manuali di didattica, una volta tanto giustamente, l’insegnamento-apprendimento, col trattino, perché è verissimo che chi insegna impara, e chi impara insegna: processo di magnifica reciprocità.
“ Io venero l’insegnamento, e in esso ammiro una delle forme più sublimi di attività umana! L’insegnamento è come l’amore – ma non ha niente a che fare con la scuola.
[…]
Già di per sé la cornice burocratica è un limite mortale a qualsivoglia tipo serio d’insegnamento. Ma oggi, poi! Oggi la cornice è talmente estesa che si mangia il quadro. C’è solo cornice, il quadro è un puntolino non più visibile a occhio nudo, e nemmeno con la lente – ci vuole un microscopio, elettronico, per vederlo, il quadro. Altro che cornice!”
L’intero corpo insegnante è ormai un insieme di corpi arresi senza condizioni al sonno: stravaccati sulle poltroncine rosse, piegati gli uni sugli altri, alcuni letteralmente stesi a terra, supini, bocconi – e russano senza alcun ritegno.
“ E se la scuola è irredimibile, vuol dire che è irriformabile – a meno che non sia riformabile la natura umana, cosa che mi permetto di dubitare. Comunque, in attesa che qualche governo si proponga, tra i punti salienti del suo programma, LA RIFORMA DELLA NATURA UMANA – che fare? Perché, mi direte voi, continuare a venir qua, a scuola, a scaldare la cattedra? Non sarebbe meglio, date queste premesse, cercarsi un altro lavoro? Lasciare al suo destino questo cieco impianto collettore di circolari, ordinanze, regolamenti e verbali che è scuola?
“ Certo la cosa migliore sarebbe venir qua, prendere i ragazzi e portarli fuori a vedere le stelle, come faceva Ponocrates con Gargantua o l’abate Blanes con Fabrizio del Dongo.
“Ma se la scuola è un incubo, un inferno, forse la cosa migliore è stare ben dentro l’inferno, per cercare chi e cosa, dentro l’inferno, non è inferno, e dargli spazio e farlo durare; per cercare, con fatica disperata, di mantenere vivi frammenti d’insegnamento dentro la camera mortuaria degli orari e dei debiti e dei crediti”
Solo adesso Dan Baha si accorge che intorno a lui dormono tutti. ha parlato al vuoto. Non importa.
“Uno deve vegliare” dice a se stesso, nella sua sconfinata presunzione, il prof. Dan Baha.