Rivendicare la necessità di un’educazione e di educatori, che, per il fiorire reciproco della libertà e della democrazia, sappiano sfidare i modelli sociali correnti, può apparire, come minimo, irrealistico. È una questione antica: si dice, infatti, che la scuola non può che rispecchiare la società, e, quindi, non può promuovere un cambiamento che si definisce in termini etici.
Ma se non ci fossero state persone che si sono impegnate in ciò che appariva inaccessibile, quali progressi sarebbero mai potuti verificarsi?
Z. Bauman, Vita liquida, trad. di M. Cupellaro, Roma-Bari, Laterza, 2006, pp. XXI – XXIV
Una risposta abituale a un tipo di comportamento sbagliato, a una condotta inadeguata a perseguire uno scopo accettato o che conduce a esiti indesiderabili, è l’educazione, o la rieducazione: indurre nell’allievo nuovi tipi di motivazioni, sviluppare nuove propensioni e allenarlo a impiegare nuove abilità. Il senso dell’educazione, in questi casi, sta nel mettere in questione il portato dell’esperienza quotidiana, nel controbattere e in fondo rifiutare le pressioni provenienti dal contesto sociale in cui agiscono gli allievi. Ma saranno, educazione e educatori, all’altezza? Riusciranno a resistere alle pressioni? Sapranno evitare di farsi mettere al servizio proprio delle pressioni che dovrebbero rifiutare? Questa domanda è stata posta fin dall’antichità, e ha più volte avuto risposte negative dalla vita sociale nelle sue varie reincarnazioni: eppure, dopo ogni disastro essa è riemersa con forza immutata. Le speranze di utilizzare l’educazione come di una leva abbastanza potente da scombussolare e, in ultima analisi, rimuovere le pressioni dei “fatti sociali” sembrano essere tanto vulnerabili quanto immortali…
A d ogni modo, le speranze sono vive e vegete. Henry A. Giroux ha dedicato anni di studio assiduo alle possibilità di una “pedagogia critica” in una società rassegnata al potere soverchiante del mercato. La conclusione cui è recentemente per venuto in collaborazione con Susan Searls Giroux è la riaffermazione di un auspicio secolare:
In opposizione alla mercificazione, alla privatizzazione e alla commercializzazione di tutto ciò che ha a che vedere con l’educazione, gli educatori devono definire la istruzione superiore come risorsa vitale per la vita democratica e civile della nazione. La sfida che si pone dunque ai docenti, ai lavoratori della cultura, agli studenti e alle organizzazioni del lavoro è quella di unirsi nell’opposizione alla trasformazione dell’istruzione superiore in un settore commerciale […] (1)
Nel 1989 Richard Rorty indicava come finalità auspicabili e possibili degli educatori i compiti di “sobillare i ragazzi” e di insinuare “dubbi negli studenti sulla loro stessa immagine di sé e sulla società di cui fanno parte” (2) È chiaro che difficilmente tutti coloro che operano come educatori accetteranno la sfida e faranno proprie tali finalità. Le stanze e i corridoi del mondo accademico sono popolati da due tipi di persone: “alcune impegnate a conformarsi a criteri ben definiti per fornire contributi alla conoscenza”, le altre preoccupate soprattutto di “espandere la propria immaginazione morale” e di leggere libri “ al fine di ampliare la propria percezione di ciò che è possibile e importante, per se stessi come individui o per la società di cui fanno parte”. L’appello di Rorty si rivolge a questo secondo genere di persone, le uniche in cui riponga le proprie speranze. Egli è ben consapevole che i docenti che risponderanno a questi squilli di tromba si troveranno a combattere una battaglia che non ha certo il favore dei pronostici. […] Poiché i messaggi di chi promuove il conformismo sono sostenuti con forza dall’opinione dominante e dai quotidiani riscontri dell’esperienza di senso comune, quella tensione, possiamo aggiungere, rende gli “intellettuali umanistici” facili bersagli per gli assertori della fine della storia, delle scelte razionali, delle policies di vita secondo cui “non esiste alternativa” e di altre formule che tentano di cogliere e di esprimere lo slancio, effettivo o presunto, di una dinamica societaria che appare invincibile. Essa incoraggia dosi di irrealismo, utopia, pie illusioni, sogni ad occhi aperti e (il danno dopo la beffa, in un odioso capovolgimento della verità etica) irresponsabilità.
Per quanto schiaccianti possano essere le forze contrarie, una società democratica (o, come direbbe Cornelius Castoriadis, autonoma) non conosce alternative all’impiego dell’educazione e dell’autoeducazione come mezzi per influenzare il corso degli eventi che possono essere riconciliati con la sua natura, la quale dal canto suo non si può conservare a lungo senza “pedagogia critica”: senza un’educazione, cioè che affili le armi della critica, “faccia sentire in colpa la nostra società” e “smuova le acque” agitando le coscienze umane. I destini della libertà, della democrazia che la rende possibile (e ne è resa possibile) e dell’educazione che produce insoddisfazione per il livello di libertà e di democrazia raggiunto sino a quel momento sono inestricabilmente collegati e non vanno disgiunti. Questa strettissima connessione può apparire come un altro circolo vizioso – ma è all’interno di tale circolo che sono inscritte le speranze e le possibilità del genere umano, né può essere altrimenti.
1) Henry A. Giroux e Susan Searls Giroux, Take Back Higher Education, Palgrave Macmillan, New York 2004, pp. 119-120
2) Richard Rorty, The humanistic intellectual: eleven theses, in id. Philosophy and Social Hope, Penguin, New York 1999, pp. 127-128