“La casa delle bambole”, pubblicato nel 1923, è un racconto di esclusione sociale, simboleggiata da un giocattolo che riproduce una vera casa, che si apre a cerniera rivelando le stanze interne, curate in ogni minuscolo dettaglio. Viene regalata alle sorelle Burnell , autorizzate a mostrala a due compagne di scuola a turno, perché possano godere anche loro di quella meraviglia. Tutte, tranne le piccole Kelvey, le figlie della lavandaia. Nella scuola, la barriera, che lascia ” fuori del cerchio” le Kelvey, sembra quasi rafforzarsi, diventare invalicabile.
K. Mansfield, La casa delle bambole, in id. Racconti, Milano, Rizzoli,1996, trad. di A. Guiducci, pp. 488-489
“Il momento della ricreazione venne, e Isabel si trovò circondata: le bambine della sua classe facevano quasi a pugni per circondarla con le braccia, appartarsi con lei, irradiare sorrisi d’adulazione, essere le sue amiche particolari. Teneva una vera e propria corte sotto gli immensi pini di fianco al campo giochi. Tutte insieme sgomitando e prese dalla ridarella, le bambinette si assieparono. Le uniche due al di fuori del cerchio erano le due che lo restavano sempre, le piccole Kelvey. Sapevano benissimo di non dover andare vicino alle Burnell.
Fatto sta, la scuola a cui andavano le bambine Burnell non era affatto il genere di posto che i loro genitori avrebbero scelto se ci fosse stata una scelta. Ma non ce n’era. Era l’unica scuola nel raggio di chilometri. E conseguenza era che tutti i bambini del vicinato, le bambine del giudice, le figlie del dottore, le bambine del negoziante, della lattaia, erano costrette a mescolarsi. Per non parlare di un ugual numero di maschietti maleducati e rozzi. a, da una qualche parte, bisognava pure tracciare una linea. Fu tracciata davanti alle Kelvey: molte bambine, ivi comprese le Burnell, non avevano neppure il permesso di parlare con loro. Le Burnell passavano davanti alle Kelvey col naso in su e, siccome, davano loro il la in fatto di comportamento, le Kelvey venivano sfuggite da tutte. Perfino l’insegnante aveva una voce speciale per loro., e un sorriso speciale per le altre bambine, il momento che Lil Kelvey si avvicinava alla cattedra con un mazzo di fiori volgarissimi.
Erano le figlie di una lavandaia piccola e sveglia, che lavorava sodo e andava a giornata di casa in casa. Era già tremendo quanto basta. Ma dove era, poi, il signor Kelvey? Nessuno lo sapeva con certezza. Ma tutti dicevano che era in prigione. Erano, insomma, le figlie di una lavandaia e di un avanzo di galera. Bella compagnia per i figli d’altri! E ne avevano anche l’aspetto: Difficile da capire perchè la signora Kelvey le mettesse in modo così vistoso. La verità è che venivano vestite con i “ritagli” dati a lei da quelli per cui lavorava. Lil, per esempio, era corpulenta, bruttina, con grosse efelidi, veniva a scuola con un vestito ricavato da una tovaglia di saia dei Burnell, con le maniche di felpa rossa delle tende dei Logan. Il cappello, appollaiato in cima alla sua alta fronte, era da donna fatta, proprietà un tempo, della signorina Lecky, la direttrice dell’ufficio postale. Dietro, si girava in su, guarnito da una larga penna scarlatta. Sembra un piccolo spauracchio. Impossibile non ridere. e la sorellina, la nostra Else, indossava un abito lungo, alquanto simile a una camicia da notte, e un paio di stivaletti da ragazzo. Ma sarebbe sembrata strana qualunque cosa avesse indossato. Era un ossicino, con i capelli a zero ed enormi occhi solenni – un piccolo gufo bianco. Nessuno l’aveva mai vista sorridere; a stento qualche volta parlava. Attraversava la vita appigliandosi a Lil, stazzonando in pugno un lembo della sottana di Lil. Dove Lil andava, la nostra Else seguiva. Nel campo da gioco, sulla strada per la scuola e dalla scuola, Lil marciava in testa, e la nostra Else le teneva dietro. Solo quando voleva qualcosa, o quando le mancava il fiato, la nostra Else dava uno strattone a Lil, una tirata di manica, e Lil si fermava e guardava in giro: Le Kelvey non mancavano mai d’intendersela fra di loro.
Adesso, girellavano al margine; non si poteva impedire che ascoltassero. Quando le ragazzine si voltarono dattorno e le derisero, Lil, come al solito, fece quel suo sorriso timido e tento, mentre la nostra Else se ne stette lì a guardare.
Le esclusioni ci sono sempre state e continueranno ad esserci, ma non dobbiamo pensare che sia una fatalità senza sbocchi: il cerchio si può e si deve aprire per l’inclusione e per questo è prioritaria la Scuola, sin dai primi anni. Ma la Scuola in Italia non è una priorità. In periodi di crisi si devono certo ridurre le spese improduttive, ma non gli investimenti nel Sistema educativo. Di fronte a una società sempre più complessa, alla presenza di bambini provenienti da più parti del mondo, non per turismo ma per necessità, agli educatori è richiesto un impegno speciale perché tutti si sentano parte integrante di una sola famiglia. E questi insegnanti non mancano.
Bisogna sostenerli, valorizzarli.
Giovanna Corchia