Si pubblicano i tre percorsi del ciclo di formazione “Мήтηρ, mater, madre, mère. Figure materne nella letteratura” tenuto a Casa Carducci in collaborazione con la Nuova Bottega dell’Elefante e con l’ADI SD.
Questo il primo, sulle madri greche e romane.
Nella letteratura greca il mondo NASCE non viene creato, ma PARTORITO, non viene dal soffio di un Dio, da una sua parola ecc. , ma NASCE.
Così scrive Esiodo nella Teogonia:
E nacque (génete – gignomai – radice gen) dunque il Càos primissimo; e dopo, la Terra
dall’ampio seno, sede perenne, sicura di tutti
gli Dei ch’ànno in possesso le cime nevose d’Olimpo,
e, della terra dall’ampie contrade nei bàratri, il buio
Tàrtaro; e Amore, ch’è fra tutti i Celesti il piú bello,
che dissipa ogni cura degli uomini tutti e dei Numi,
doma ogni volontà nel seno, ogni accorto consiglio. (Trad. Romagnoli)
La madre per eccellenza è la Terra, Gea, la sua vocazione è partorire, generare e dunque da sé genera, senza aiuto alcuno, un padre con cui generare altri innumerevoli figli. La terra partorisce compulsivamente. Partorisce senza godere della maternità, ma per pura necessità. Quasi a indicare il lungo periodo di gestazione della vita sulla terra testimoniato dalla scienza, Esiodo con la lungimiranza della poesia, immagina un mondo che sta dentro la madre Terra, circondata da questo Urano, questo cielo incombente, questo universo che comprime la terra e i suoi figli… Il mondo è ancora tutto dentro la madre e la madre geme perché greve è il peso dentro di lei.Il principio maschile ambisce al possesso, copula compulsivamente; il principio femminile ambisce alla procreazione.
Perché la vita abbia inizio è il principio femminile che deve vincere. Urano viene evirato da un figlio maschio, Kronos, il tempo. Da lì, dalla madre terra nasce il mondo e la sua storia.
La Terra generò (da gignomai) primamente, a sé simile, Uràno
tutto cosperso di stelle, che tutta potesse coprirla,
e insieme sede fosse dei Numi del cielo sicura;
(…)
Dopo essi, il fortissimo Crono
venne alla luce, di scaltro consiglio, fra tutti i figliuoli
il piú tremendo; e d’ira terribile ardea contro il padre.
(…)
E quanti erano nati terribili figli d’Uràno
e della Terra, tanti fatti erano segno, nascendo,
del padre loro all’odio: ché, come nascevano, tutti
li nascondeva giú nei bàratri bui della Terra,
non li lasciava a luce venire. E dell’opera trista,
godeva Uràno, e Terra gemeva, l’immane, che troppo
era gravata; e un’arte pensò di malevola frode.
Súbito generò del cinerèo ferro l’essenza,
una gran falce estrusse, poi disse ai suoi figli diletti:
disse con animo audace, sebbene il suo cuore era triste:
«Figli che a un padre senza pietà generai, se volete
udirmi, or vendicare potremo gli affronti del padre
vostro, che ai vostri danni rivolse per primo il pensiero».
Cosí disse; ma tutti coglieva terrore, né alcuno
parlava. Il grande Crono fe’ cuore, l’accorto pensiero,
ed alla sacra madre si volse con queste parole:
«O madre, io ti prometto di compier l’impresa: ad effetto
la recherò: ché nulla del tristo mio padre m’importa:
ché egli ai nostri danni rivolse per primo la mente».
Cosí rispose; e molto la Terra, l’immane, fu lieta.
Ed in agguato allora lo ascose, ed in mano gli pose
quella dentata falce, l’inganno tramò tutto quanto.
E venne Uràno, il grande, recando la notte, e bramoso
d’amor, tutto incombé su la terra, su lei tutto quanto
si stese; ed ecco il figlio, la manca avventò dall’agguato,
ad afferrarlo, impugnò con la destra la falce tremenda,
lunga, dentata, e al padre d’un colpo recise le coglie, (mhdea, cioè gli organi genitali)
e dietro sé le gittò nel mare, ché via le portasse.
Nel mondo classico vi sono tutte le possibili tipologie di madri contemporanee (potrebbe mancare la donna in carriera, ma non è detto, ci furono ad esempio le madri degli imperatori romani, donne in carriera per interposta persona), anzi sono archetipi che si ripropongono continuamente nella letteratura e, trattandosi di miti, anche nella vita. Nel mondo classico, mi sembra che la maternità sia meno pervasiva che nel cristianesimo. Ad esempio Era, la latina Giunone, dea del matrimonio e della famiglia, ha solo due figli e che figli! Il dio della guerra e un deforme Efesto e non è mai particolarmente materna né tenera coi bambini… soprattutto perché figli illegittimi di suo marito Zeus, il “prolifico” … La donna, pur in una società misogina, specie la greca, ha, almeno in letteratura, altri elementi, altri compiti che la caratterizzano e la contraddistinguono.
I testi sono tutti seri, ho cercato parodie di madri ma non ce n’è. C’è nelle Nuvole di Aristofane la madre di Fidippide che lo rovina, ma non in quanto madre, piuttosto in quanto portatrice di un’educazione cittadina… della madre non si ride nel mondo classico e anche oggi le figure di madri più gustose sono scritte da figlie, almeno secondo le mie letture.
Certo sono solo autori maschi, il che ovviamente da un taglio particolare a tutta la nostra indagine, c’è solo Saffo che si distingue.
PARTORIRE NON PARTORIRE
La prima discriminante è tra PARTORIRE e NON PARTORIRE, la madre terra non aveva scelta, ma le altre figure femminili, mortali o dee che siano, qualche volta possono scegliere.
Artemide sorella gemella di Apollo è nota per l’arcigna e spesso crudele foga con cui tutela la verginità sua e delle sue seguaci. Rifiutando l’uomo, rifiutano anche la maternità. La dea punisce chi la vede bagnarsi nuda nel fiume, punisce le sue seguaci che volenti o nolenti perdono la verginità, ma aiuta anche quelle che invocano il suo soccorso quando la loro verginità viene messa in pericolo. Così avviene per Aretusa, che si bagnò nel fiume Alfèo il quale innamoratosi della ninfa prese forma umana e la inseguì. Artemide richiamata dalle grida d’aiuto dopo aver trasformato Aretusa in fonte la sprofondò sottoterra facendola riaffiorare nell’isola Ortigia (Siracusa). Alfèo, per nulla scoraggiato, riassunse la forma acquatica e poté così unirsi alla ninfa. Ecco la descrizione di Ovidio:
(Metamorfosi, Bologna, Zanichelli, 1984, trad. F. Bernini
libro V, vv 572-576 vv. 619-638 )
Cerere, omai riavuta la figlia e sicura di lei,
chiede, o Aretusa, perché tu fuggisti e sei sacra sorgente.
Tacquero l’onde, dal cui profondissimo fonte la dea
sporse la testa e, con mano asciugandosi i verdi capelli,
narrò gli amori vetusti del fiume dell’Elide, Alfèo.
(…)
-Diana mi aiuta! son presa:soccorri l’armigera tua,
cui affidasti sovente le frecce con l’aroc e il turcasso!-
Ne fu commossa la dea, che prese una nuvola fitta
e mi ravvolse. L’Alfèo si aggira dintorno alla nube
cava che mi ricopriva, ed ignaro la nuvola esplora
e per due volte lo stolto rasenta dove ero nascosta
e per due volte mi chiama gridando: -Aretusa! Aretusa! –
Misera, allora che cuore era il mio! Non so se d’agnella
ch’oda ululare dei lupi che girano intorno all’ovile
o della lepre che quatta tra i pruni sogguarda l ‘ostile
ceffo dei cani e non osa di fare il più piccolo moto!
Pure non parte l’Alfèo, né l’orme vedendo più oltre,
fissa la nube e quel luogo. Mi sudano immote le membra
gelido umore e dal corpo mi stillano cerule gocce:
gocciola il luogo dovunque mi muova coi piedi; dal crine
piove rugiada e mi sfaccio più presto che non lo racconto.
L’acque dilette conosce l’Alfèo e, lasciato l’aspetto
d’uomo, rimutasi in fiume per mescere l’onde con l’onde.
Aprì Diana la terra, e per buie caverne sommersa
venni nell’isola Ortigia, che grata del nome divino
mi diè per prima l’uscita a vedere la luce del cielo –
Ci sono anche le madri mancate perché morte troppo giovani, due esempi rifulgono per la nobiltà dei loro atti, per l’eroismo con cui seppero morire: Antigone e Ifigenia. Per queste loro doti io me le immagino come madri dell’umanità, della loro terra. Generano dal sangue. Non a caso secondo me Sofocle innalza un coro bellissimo sull’uomo le sue ambivalenze, la sua altezza e la sua bassezza, proprio quando Antigone, catturata, viene condotta davanti a Creonte. Quella fanciulla che morirà vergine è madre di un progresso nel cammino dell’uomo per essere veramente uomo.
Sofocle, Antigone trad. Romagnoli
Molti si dànno prodigi, e niuno
meraviglioso piú dell’uomo.
Sino di là dal canuto mare,
col tempestoso Noto, procede
l’uomo, valica l’estuare
dei flutti, e il mugghio; e la piú antica
degli Dei, l’immortale Terra,
l’infaticata, col giro spossa,
anno per anno, degli aratri,
col travaglio d’equina prole.
Antistrofe prima
E degli augelli le stirpi liete
cinge di reti, ne fa preda,
e le tribú di selvagge fiere,
e le marine stirpi del ponto
con le spire d’inteste reti,
l’uomo scaltrissimo: è signore,
con l’astuzia, di quante fiere
movon selvagge pei monti, e il giogo
pone al crinito cavallo, e al toro
infaticato, sovressi i monti.
Strofe seconda
L’infaticato pensiero, e i suoni
vocali rinvenne, e le norme
del viver civile, e a fuggire
gli etèrei dardi
d’inospiti ghiacci,
di piogge nemiche.
Gran copia d’astuzie possiede;
né verso il futuro, se mezzi
di scampo non vede, s’inoltra.
Solo trovar dall’Ade
scampo non può; ma contro immedicabili
morbi, rinvenne salutari strade.
Antistrofe seconda
Oltre ogni umana credenza, il genio
dell’arti inventore possiede;
ed ora si volge a tristizia,
ed ora a virtú.
Se onora le leggi
dei padri, e degl’Inferi
il giuro, la patria egli esalta.
Ma patria non ha chi per colmo
d’audacia s’appiglia a tristizia.
Vicino all’ara mia
mai non s’annidi l’uom che cosí adopera,
e mai concorde al mio pensier non sia.
C’è poi la nostalgia della maternità in donne che hanno avuto altri compiti, diverso destino eppure sentono la mancanza d’una ragione in più per vivere come Didone, che vorrebbe almeno veder crescere con lei un piccolo Enea e senza questa consolazione, come sappiamo, si suicida.
Virgilio, Eneide , libro IV, trad Rosa Calzecchi Onesti:
“Se un figlio, se almeno un figlio da te avessi avuto
prima della tua fuga, se nelle stanze giocare
un piccolo Enea mi vedessi, che pure avesse il tuo viso,
non del tutto delusa, non tradita sarei”
QUANDO PARTORIRE E’ MOSTRUOSO
Nella letteratura classica si partoriscono anche mostri: i mostri infatti hanno madri. Spesso anch’esse sono mostri (nell’origine del mondo), ma talvolta no… i mostri nascono dunque o da mostri o da rapporti mostruosi. Un mostro famoso e molto citato nella letteratura successiva (Durrenmatt, Borges) è il Minotauro, perché il mostro è di solito contaminazione, mescolanza, disarmonia; dunque spesso è uomo e animale. La madre che partorisce il mostro non lo ama e lo abbandona, più mostruosa dunque appare la madre. Come Pasifae la madre del Minotauro. Invaghita di un toro, si unisce a lui e nasce un figlio e lei non batte ciglio quando il poveretto è rinchiuso in un labirinto.
Però mostruoso può essere il rapporto stesso. Un esempio di maternità mostruosa deriva dall’incesto. L’incesto nel mondo divino è molto diffuso, la terra dovette generare Urano e poi accoppiarsi al figlio per creare il mondo. Gli dei sono fra loro tutti fratelli, sorelle, cugini, madri, figli, figlie… ma sono dei. Tra gli uomini l’incesto è un crimine orrendo, anche per chi lo compie inconsapevolmente. Edipo e Giocasta, coppia maledetta.
Propongo una mia poesia, una mia personale interpretazione di Giocasta (nel groviglio di parole sta confusione di ruoli, la mostruosità della situazione)
Giocasta
Il miasma sono io, io il farmakòs
io la peste che uccide
Tebe intera. Il mio ventre l’ha portata
nell’innocente città. Quando il giovane
straniero varcò le porte di Tebe,
non pensai: sentii il laccio antico e arcano,
ma non pensai. Un figlio, dammi un figlio!
giovane eroe solutore di enigmi,
Chiama d’un frutto la dolcezza il mio
utero secco. Mi unii a lui,
rigerminò finalmente la vita:
non sapevo il morbo sparso nel ventre.
Proprio io sono il miasma, io disperata
assassina d’un figlio, io fattrice
di figli dal figlio assassinato, da
Edipo, solutore di enigmi:
due volte ucciso dalla madre indegna.
Figlio, padre dei figli, non appenderti,
al corpo appeso: né madre, né moglie…
troppo tardi, perisco!
(Maria Rosa Panté, L’Amplesso retorico, Campanotto ed)
Infine in questa rassegna della parte mostruosa della maternità non si possono trascurare i figli dello stupro, la maternità che nasce da una violenza. Il fatto, ancor oggi drammaticamente presente, è forse insito nella storia dell’uomo, fors’anche della vita, anche alcuni animali uccidono i cuccioli di altro padre e subito fecondano la femmina per avere propria prole… Nel mondo greco in particolare ci sono molti esempi di donne che hanno figli dai nemici, donne rese schiave e violentate, hanno poi partorito dei figli. Esempio notissimo è Cassandra.
Euripide Le Troiane trad Romagnoli
Largo, fate ala!
Io porto la fiaccola, io celebro, inondo di luce,
vedete vedete,
con questa mia lampada il tempio.
O sire Imenèo,
beato lo sposo,
me beata che a talamo regio,
che in Argo andrò sposa.
Imèn, o Signore Imenèo!
Perché mai, tutta in lagrime, o madre,
tutta in ululi, il padre defunto
stai gemendo, e la patria diletta?
Io stessa, per queste mie nozze
brillar fo le vampe del fuoco
in raggio, in fulgore
facendo per te,
Imenèo, per te, Ècate, il fuoco
brillare che a nozze virginee s’addice.
(…)
ècuba:
Tu la fiaccola, èfesto in queste nozze
reggi; ma troppo amara è questa luce
che fai brillar, dalla speranza grande
troppo diversa. Ahi, figlia mia, creduto
mai non avrei che delle spade all’ombra
e delle lancie achèe simili nozze
celebrare dovrei. Dammi la fiaccola,
ché, delira correndo, obliqua tu
la reggi, o figlia; e la sventura il senno
reso non t’ha, ma quale fosti or sei.
Riportate le faci entro la tenda,
donne di Troia, e ai cantici di nozze
rispondan di costei le nostre lagrime.
C’è da dire che il mondo greco (forse perché maschile) non mette in luce con quale spirito queste donne avranno partorito figli nati da una violenza se e come li avranno amati.
PIANGERE I FIGLI
Purtroppo questo aspetto è vastissimo. La Mater dolorosa è prevalente temo in ogni letteratura e cultura… per via della idiozia umana, infatti queste sono per lo più madri cui la guerra ha portato via i figli che son morti innaturalmente prima di loro. Clitemnestra piange Ifigenia, sacrificata al desiderio di conquista e di vendetta. Andromaca vede morire prima l’amato marito e poi il suo unico figlio, ucciso per questioni di opportunità dinastica. Ecuba, Ecuba che ebbe 50 figli li vide morire tutti. Uno o 100: il dolore non cambia. E così ecco il ritratto straziante che fa Virgilio della madre del fanciullo Eurialo vittima della guerra e di un malinteso senso del coraggio… un equivoco che ci perseguita ancora.
Virgilio, Eneide V, trad. Annibal Caro
Spiegò la Fama le sue penne intanto,
e la trista novella in ogni parte
sparse per la città, sí ch’agli orecchi
de la madre d’Eurïalo pervenne.
Corse subitamente un gel per l’ossa735
a la meschina; e da le man le usciro
le sue tele e i suoi fili. Indi, rapita
dal duolo e da la furia, forsennata
e scapigliata ne la strada uscio;
e per mezzo de l’armi e de le genti740
correndo, e mugolando, senza téma
di periglio e di biasmo, andò gridando,
e di questi lamenti il cielo empiendo:
«Ahi, cosí concio, Eurïalo, mi torni?
Eurïalo, sei tu? Tu sei ’l mio figlio,745
ch’eri la mia speranza e ’l mio riposo
ne l’estreme giornate di mia vita?
Ahi! come cosí sola mi lasciasti,
crudele? E come a cosí gran periglio
n’andasti, anzi a la morte, che tua madre750
non ti parlasse, ohimè! l’ultima volta,
né che pur ti vedesse? Ah! ch’or ti veggio
in peregrina terra esca di cani,
d’avoltoi e di corvi. Ed io tua madre,
io cui l’esequie eran dovute e ’l duolo
d’un cotal figlio, non t’ho chiusi gli occhi,
né lavate le piaghe, né coperte
con quella veste che con tanto studio
t’ho per trastullo de la mia vecchiezza
tessuta io stessa e ricamata invano.
Figlio, dove ti cerco? ove ti trovo
sí diviso da te? come raccozzo
le tue cosí sbranate e sparse membra?
Sol questa parte del tuo corpo rendi
a la tua madre, che per esser teco
t’ha per terra e per mar tanto seguito,
e seguiratti dopo morte ancora?
In me, Rutuli, in me tutti volgete
i vostri ferri, se pur regna in voi
pietade alcuna. A me la morte date770
pria ch’a null’altro. O tu, padre celeste,
miserere di me. Tu col tuo tèlo
mi trabocca nel Tartaro e m’ancidi,
poiché romper non posso in altra guisa
questa crudele e disperata vita».
Il dramma è acuito dal fatto che Eurialo era un fanciullo e Virgilio è molto sensibile all’assurdo della morte dei giovani, la madre inoltre poteva contare solo su di lui (forse già ci colpisce ma lo capiremmo meglio tenero conto delle donne che restano sole oggi in società fortemente maschiliste e la loro condizione miserabile). “Correndo e mugolando” scrive Virgilio verbi potentissimi a dire la condizione ferina (ed è un complimento) della maternità, l’istinto più potente e trasversale… E poi il tema che, prima dei miei morti, mi pareva meno determinante, essere vicino, accompagnare chi muore, raccogliere le sue ultime parole, il suo ultimo sguardo…
USARE I FIGLI
Esistono anche madri non dico snaturate, ma certo discutibili… madri che usano i figli, magari li amano, ma non nel modo giusto, sentono i figli come loro promanazione e li usano…
Una storia vera da Lisia, “Per l’uccisione di Eratostene” (trad. Umberto Albini)
In primo luogo, o giudici -è necessario che io entri in questi particolari -la mia casa è a due piani, con un ugual numero di stanze al piano superiore e al pian terreno, adibiti come appartamento l’uno delle donne, l’altro degli uomini. Dopo la nascita del bambino, la madre stessa provvedeva ad allattarlo: perché non corresse pericolo nello scendere la scala al momento di fargli il bagno, io mi traslocai di sopra, le donne di sotto. Era ormai un’abitudine, e tante volte mia moglie andava a coricarsi giù accanto al bambino, per dargli il latte e non lasciarlo strillare. La cosa si protrasse a lungo, senza che si affacciasse in me nessun dubbio; anzi ero talmente ingenuo da reputare mia moglie la più onesta fra tutte le donne di Atene. Passato qualche tempo, o cittadini, smettere di frignare. Ella dapprima nicchiava, come se avesse piacere di vedermi dopo la assenza prolungata; dato che perdevo la pazienza e le ripetevo di andare:”Già mi aggredì -così resti a dar noia all’ancella; già un’altra volta che eri ubriaco cercavi di portartela con te” Scoppiai a ridere: lei si alza, esce, chiude la porta, come per celia, e si porta via la chiave. Ed io, senza farci caso e senza sospetti, mi misi a letto col piacere di uno che ritorna dalla campagna. L’indomani mattina viene ad aprirmi: le chiesi cos’era quel cigolio di porte che avevo udito di notte e mi rispose che si era spento il lume che stava presso il bambino e aveva dovuto riaccenderlo dai i vicini. Ritenni che le cose stessero così e non replicai nulla”.
Una storia mitica, ma attuale purtroppo, Medea: tutti sappiamo la sua storia e tutti ci chiediamo perché perché uccidere i figli? Troppo amore, li uccide per salvarli da vendette trasversali. Troppa vendetta… troppo odio-amore per il suo uomo. Il male nasce sempre da un troppo… (ma anche il bene). Christa Wolf assolve Medea per non aver commesso il fatto. Euripide è uomo pure dimostra una consapevolezza che è tutta poetica della condizione della donna proprio nel discorso di Medea nella famosa frase “preferirei tre volte andare in guerra piuttosto che partorire una volta sola”.
GLORIARSI DEI FIGLI
Dei figli per fortuna si gioisce anche se questo aspetto è meno scandagliato dalla letteratura, è più indagato il sentimento dell’orgoglio, il gloriarsi dei figli… l’esempio classico, l’esempio paradigmatico è la madre dei Gracchi (dei dodici che ebbe solo questi due e una figlia sopravvissero)…Così scrive Plutarco… Dopo la morte di Caio, si ritirò a Miseno «circondata sempre da Greci e da letterati […] raccontava la vita e la condotta del padre, l’Africano, ed era ammirevole quando raccontava a chi glielo chiedeva le sventure e le imprese dei figli, ricordandoli senza manifestazioni di dolore e senza lacrime, come se si trattasse di personaggi delle età antiche».
Sempre tra le madri romane vi furono quelle che si vergognano del figlio in effetti, ma arrivarono a trasformare il figlio da traditore ad eroe come fece la madre (terribile immagino) di Coriolano.
« ….Coriolano saltò giù come una furia dal suo sedile e corse incontro alla madre per abbracciarla. Lei però, passata dalle suppliche alla collera, gli disse: «Fermo lì, prima di abbracciarmi: voglio sapere se qui ci troviamo da un nemico o da un figlio e se nel tuo accampamento devo considerarmi una prigioniera o una madre. » Tito Livio
Ma sempre a Roma le madri degli imperatori spesso furono più potenti dei loro figli, certo sempre nell’ombra. Qualcuno si gloriò del figli, qualcuno li usò per la sua sete di potere, quasi tutte pagarono salato questo distorto amore materno, pensiamo in particolare ad Agrippina la madre di Nerone.
IL SENO
La madre terra è ventre ma anche seno… le dee ctonie venivano rappresentate quasi senza null’altro che ventre e seno. La madre allatta, non sempre, però. Spesso chi allatta è la nutrice, la letteratura classica è piena di nutrici. Ecco Euriclea
Omero Odissea trad. Pindemonte
Ulisse intanto strinse590
Con la man destra ad Euriclèa la gola,
E a sé tirolla con la manca, e disse:
Nutrice, vuoi tu perdermi? Tu stessa,
Sì, mi tenesti alla tua poppa un giorno,
E nell’anno ventesimo, sofferte595
Pene infinite, alla mia patria io venni.
Ma, poiché mi scopristi, e un dio sì volle,
Taci, e di me qui dentro altri non sappia:
Però ch’io giuro, e non invan, che s’io
Con l’aiuto de’ numi i proci spegno,600
Né da te pur, benché mia balia, il braccio,
Che l’altre donne ucciderà, ritengo.
Figlio, qual mai dal core osò parola
Salirti in su le labbra? ella riprese.
Non mi conosci tu nel petto un’alma605
Ferma ed inespugnabile? Il segreto
Io serberò, qual dura selce o bronzo.
Il seno seduttivo e simbolo femminile per eccellenza è mortificato, sacrificato per esigenze pratiche dalle amazzoni, che per tirare con l’arco si bruciavano una mammella…
Propongo un’altra mia poesia proprio sul seno e su quella che per me è un po’ la madre per eccellenza del mondo greco, non tanto per la quantità dei figli, quanto per il rapporto di madre e figlio (merito certo di Omero), la donna è Andromaca.
Mi chiamavano Andromaca candide
braccia … avrei preferito
candido il seno materno, scurite
dal calore le braccia contadine.
Fortunata Andromaca
moglie del glorioso Ettore …
Mai avrei voluto essere
maritata alla gloria:
amore sognavo che invecchia e cresce
nel tempo quasi immoto.
Andromaca, del re futuro d’Ilio
madre … Eppure speravo
prole numerosa e gaia. Progenie
da nutrire col candido
seno; da abbracciare con
braccia forti e orgogliose.
Il re è morto, per la furia di guerra;
il figlio del re è morto,
scannato dalla follia
della guerra: io, viva, morta due volte.
Sono Andromaca, so la tenerezza
e il compianto: nutrire con amore
perdonare non so altro.
Votata, Andromaca candide braccia,
a un destino non suo.
(Maria Rosa Pantè, L’amplesso retorico, Campanotto ed)
MADRI E FIGLIE
Essendo io figlia, ho scelto questa forma particolarissima di rapporto… tra due esseri così simili da diventare un tutt’uno, ma anche così rivali, perché nascere nella femmina è anche distinguersi, essere altro da qualcuno cui tanto si assomiglia… Nella tragedia il rapporto tra madri e figlie è complesso. C’è Ecuba, ma Ecuba è monocorde è vista solo nell’atto del pianto e ne aveva ben donde. C’è Giocasta, madre di due figlie, con cui però pare avere un rapporto più materno Edipo (padre e fratello). C’è Clitemnestra… già Clitemnestra che ha due figlie importanti: Ifigenia ed Elettra. In realtà Clitemnestra pare amare più delle figlie il potere, l’indipendenza, anche affettiva. Donna di governo, di forza più che madre e a perderla di fatto è la figlia che l’odia, il figlio è solo la mano armata da Elettra che vuole vendicare un padre tutt’altro che modello, Agamennone.
Clitemnetsra allontana la figlia dopo l’assassinio del marito; così ridotta da principessa a moglie di un contadino ce la mostra Euripide.. Ecco una serie di passi in cui Elettra parla della madre, segue l’autodifesa di Clitemnestra
Euripide, Elettra, trad Romagnoli
lanciare nell’immenso ètere l’ùlulo
io voglio al padre mio: ché la Tindàride
maledetta, mia madre, via da casa
per compiacer lo sposo, mi scacciò.
Ahimè, ahime!
Io son d’Agamènnone figlia,
a luce mi die’ Clitemnèstra,
l’odïosa figliuola di Tíndaro.
Me chiamano i miei cittadini
Elèttra la misera.
Ahimè, ahi, che gravi travagli,
che vita odïosa e la mia!
O padre, tu giaci nell’Ade:
dalla sposa e da Egisto sgozzato,
tu giaci, Agamènnone.
Elèttra:
Ch’io sgozzi, sveni mia madre; e poi muoia.
Elèttra:
Di mia madre l’eccidio io compierò.
Clitemnèstra:
Tali i disegni di tuo padre furono,
ch’egli tramò contro chi non doveva,
contro i piú cari suoi. Dirò, sebbene
quando una donna ha mala fama, tutto
ciò ch’ella dice, sa d’amaro, come
avviene a me, pur non a dritto. I fatti
saper bisogna; e quando io meritato
abbia l’odio, sarà giusto odïarmi.
Ma se questo non è, perché tant’odio?
Tíndaro, il padre mio, mi diede al padre
tuo, non perché ponesse a morte me,
né la mia figlia. E quello, col pretesto
delle nozze d’Achille, Ifigenía
fece venire dalla casa ad Àulide,
l’intoppo delle navi. è qui, distesa
sopra la pira la fanciulla, il candido
fior delle guance ne mieté. Ché s’egli,
per tener lungi dalla patria il sacco,
per giovare alla casa, o per salvezza
degli altri figli, uccisa una ne avesse
a vantaggio di molti, a lui concedere
perdono si potea. Ma no. Perché
Elena fu lasciva, e Menelao
punir non seppe la sua moglie adultera,
morte diede per questo alla mia figlia.
Ma, sebbene oltraggiata, io non per questo
sarei feroce divenuta, e morte
non avrei dato al mio consorte. Ma,
tornò recando una fanciulla, invasa
Mènade, e al letto suo l’ebbe compagna;
e due spose eravam sotto un sol tetto.
Clitemnèstra:
Del padre amica, o figlia mia, per indole
tu sei. Cosí succede. Alcuni tengono
dall’uomo, ed altri amano piú la madre.
Ma ti perdóno. Lieta esser di come
ti comporti con me, non posso, o figlia.
Ma cosí, senza bagno, e in vesti misere,
figlia ti trovo, quando sei puerpera,
fresca di parto. Oh me misera, quanto
male avvisata fui! Troppo oltre il segno
mi spinse l’ira contro il mio consorte.
Clitemnestra quando parla di Ifigenia mostra da principio un certo dolore, ma poi si apprende che se l’omicidio di Ifigenia è servito alla comunità è perdonabile, imperdonabile è che il marito si sia presentato a lei con una nuova moglie, Cassandra. Dunque davvero Clitemnestra appare più attaccata al potere che agli affetti.
Eppure Clitemnestra. accorre per la figlia Elettra quando questa finge d’avere partorito, è un atto amoroso che rende Clitemnestra più controversa e umana. Quanto all’affermazione di Clitemnestra mi ha fatto venire alla mente mia madre che mi diceva “Tu vuoi più bene al papà” e sbagliava. A mio padre ero più affine, da mia madre dovevo difendermi per essere altro da lei… come Elettra.
C’è però una madre che insegue la figlia e la contende al futuro marito, questa madre è Demetra (che è madre già nel nome meter), la dea delle messi, la figlia è Persefone che va sposa ad Ade dio dell’aldilà… Persefone vivrà sei mesi con la madre e sarà sulla terra la primavera e sei mesi nell’ade… le stagioni dipendono da una madre che non si arrende a perdere la figlia la insegue e la ottiene per sé, sia pure condivisa con il marito (una situazione forse non solo mitologica) questa vicenda sfocia poi nel mistero, precisamente nei misteri di Eleusi la parte forse più spirituale della religione greca Isocrate infatti dice che Demetra nel suo vagare alla ricerca della figlia quando giunse presso Atene lasciò come doni i frutti della terra e i misteri.
In questa parte sta anche l’unica poesia scritta da una donna Saffo, pochi versi, ma sono quelli che ho trovato nella letteratura classica più veri, più teneri, più quotidiani e straordinari insieme, forse perché a dire la maternità son più brave le donne.
Ho una bella bambina.
La sua figura è come i fiori
d’oro: è l’amor mio, si chiama
Cleide.
Se mi date la Lidia intera io non la do,
se mi date l’amabile… io non la do.
(trad. Filippo Maria Pontani)
Ma non è finita qui!
UNA MATERNITA’ ANOMALA
Atena (anche lei vergine, ma dato il tipo di nascita…) nata già adulta ed armata, dalla fronte del padre o dal polpaccio secondo altri, dopo che egli ne aveva mangiato la madre Meti. Zeus si coricò con Meti, dea della prudenza e della saggezza, ma subito dopo ebbe paura delle conseguenze che ne sarebbero derivate: una profezia diceva che i figli di Meti sarebbero stati più potenti del padre,. Per impedire che questo si verificasse, subito dopo essersi giaciuto con lei, Zeus indusse Meti a trasformarsi in una mosca e la inghiottì, ma era ormai troppo tardi: la dea aveva infatti già concepito un bambino. Meti cominciò immediatamente a realizzare un elmo ed una veste per la figlia che portava in grembo, e i colpi di martello sferrati mentre costruiva l’elmo provocarono a Zeus un dolore terribile. Così Efesto aprì la testa di Zeus ed Atena ne balzò fuori già adulta ed armata e Zeus in questo modo uscì, malconcio ma vivo, dalla brutta disavventura.
Si evince: che gli uomini hanno paura delle donne intelligenti (dunque di tutte le donne)
Ma il mito è anche un invito alla paternità responsabile (non però a mangiare la consorte)
bhe!cosa dire?…a quanto pare anche se passano anni e anni la vita per le donne riserva sempre le stesse cose…le stesse madri possono essere tranquillamente quelle contemporanee.
quindi non potrò più dire che vorrei essere una madre all’antica!non credevo esistessero tante figure possibili…ho sempre pensato che le madri di altri tempi fossero solo madri e casalinghe.
per finire dico che la mia preferita è Andromaca il cui desiderio di matrnità mi sembra tanto forte come fu il mio