Mentre era nel carcere di Turi, Gramsci tradusse 24 fiabe (o meglio 23 più un testo incompleto) dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm (Kinder- und Hausmärchen) con l’intenzione di mandarle ai suoi nipoti in Sardegna, ma l’autorità carceraria glielo proibì. Inizialmente non inserite nei Quaderni dal carcere del 1975, sono invece state ripristinate (nei Quaderni di traduzione) nell’edizione critica del 2007 a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana. Una edizione autonoma era uscita per Vallecchi nell’80. «Ho tradotto dal tedesco, per esercizio, una serie di novelline popolari proprio come quelle che ci piacevano tanto quando eravamo bambini». Così scrive Gramsci alla sorella nel 1932. Nelle sue traduzioni troviamo precisione filologica ma anche a volte una “laicizzazione” delle storie con elementi originali, e uno “sguardo pedagogico” sempre presente e attento alla letteratura popolare e al folclore.
Antonio Gramsci, Favole di libertà, a cura di Elsa Fubini e Mimma Paulesu, introduzione di Carlo Muscetta, Firenze: Vallecchi, 1980 (ora in Liber liber)
I quattro musicanti di Brema
Un uomo aveva un asino che per lunghi anni aveva portato senza stancarsi i sacchi al mulino; ma le forze gli vennero meno e diventava sempre più inetto al lavoro. Il padrone pensò di utilizzarne la pelle, ma l’asino capì che non soffiava buon vento, scappò via e prese la strada verso Brema: là, pensava, avrebbe potuto suonare nella banda cittadina.
Aveva fatto un tratto di strada, quando vide un cane da caccia sdraiato sulla strada, che ansimava come se avesse corso troppo. «Perché ti lamenti così, Denti lunghi?», domandò l’asino. «Ahimè – disse il cane, – perché sono vecchio e divento ogni giorno più debole e anche alla caccia non posso più correre; il mio padrone mi voleva ammazzare, ho dovuto battere le calcagna: ma ora come potrò guadagnarmi il pane?». «Sai che cosa devi fare? – disse l’asino. – Io vado a Brema e diventerò musicante nella banda cittadina; vieni con me e fatti accettare anche tu. Io suonerò il liuto e tu la batteria e il tamburo». Il cane fu contento e i due continuarono insieme la strada.
Non molto lontano, trovarono un gatto seduto sull’orlo della strada; era irsuto come dopo tre giorni di pioggia. «Orsù, che cosa ti è andato di traverso, vecchio barbiere?», disse l’asino. «Chi può essere allegro quando lo si vuole strozzare? – rispose il gatto. – Poiché sono vecchio, i miei denti si sono spuntati e sto dietro la stufa a far le fusa invece di dar la caccia ai topi. La mia padrona mi voleva annegare; è vero che sono riuscito a scappare, ma ora sono in un bell’imbroglio: dove posso andare?». «Vieni con noi a Brema; tu te ne intendi di serenate e puoi diventare un musicante nella banda cittadina». Il gatto trovò buona la proposta e andò con loro.
Poco dopo i tre viandanti passarono vicino a un cortile sulla cui porta era appollaiato un gallo che strillava con tutte le forze del corpo. «Strilli da trafiggere il cuore – disse l’asino. – Quale pena ti affligge?». «Devo annunciare il bel tempo – disse il gallo – perché è l’onomastico della nostra padrona; ella ha lavato la camicina del bambino Gesù e vuole farla asciugare; ma poiché domani, domenica, vengono degli ospiti, la padrona di casa, senza pietà, ha detto alla cuoca che mi vuol mangiare a lesso e così stasera mi dovrò lasciar tagliare la testa. Perciò grido a squarciagola, fino a quando lo posso ancora». «Ahitè, povera testa rossa – disse l’asino, – vieni piuttosto con noi. Noi andiamo a Brema e tu troverai qualcosa di meglio della morte: hai una bella voce, e quando faremo della musica insieme, avremo una professione rispettabile». La proposta piacque al gallo e tutti e quattro insieme ripresero la strada. Ma non poterono raggiungere in giornata la città di Brema e la sera entrarono in una foresta dove decisero di pernottare. L’asino e il cane si sdraiarono sotto un grande albero, il gatto e il gallo si posarono sui rami; il gallo poi volò fin sulla cima dove si trovava più al sicuro. Prima di addormentarsi, guardò ancora in tutte le direzioni e vide in lontananza splendere un lumicino; gridò ai suoi colleghi che non lontano doveva esserci una casa perché si vedeva una luce. L’asino disse: «Dobbiamo alzarci e andare avanti, perché in questo albergo si sta molto male». Il cane pensò che un paio di ossa con un po’ di carne attaccata gli avrebbero giovato assai. E così si rimisero in cammino nella direzione della luce; la videro brillare e divenire sempre più grande, finché giunsero a una casa di briganti tutta illuminata.
L’asino, che era il più alto, si avvicinò alla finestra e dette una sbirciatina dentro. «Che cosa vedi Grigione?», domandò il gallo. «Cosa vedo? – rispose l’asino. – Una tavola imbandita con bellissime cose da mangiare e da bere e i briganti che siedono intorno e banchettano». «Sarebbe proprio quel che fa per noi», disse il gallo. «Sì, sì, potessimo esserci noi!», disse l’asino. Le bestie si accordarono e finalmente trovarono un modo per cacciar via i briganti. L’asino posò le zampe anteriori sulla finestra, il cane salì sulle spalle dell’asino, il gatto si arrampicò sul cane e finalmente il gallo volò in alto e si posò sulla testa del gatto. Appena fatto ciò, cominciarono tutti insieme, ad un segnale, ad eseguire il loro concerto: l’asino ragliò fragorosamente, il cane abbaiò, il gatto miagolò e il gallo lanciò i suoi potenti chicchirichì; quindi si precipitarono nella stanza attraverso la finestra, facendo tintinnare i vetri. I briganti trasalirono all’orrendo fracasso; non pensarono ad altro se non che un fantasma era entrato dentro e fuggirono spaventatissimi nella foresta. Allora i quattro amici si sedettero a tavola, si accontentarono di ciò che era rimasto e mangiarono tanto come se fossero digiuni da quattro settimane. Quando i quattro suonatori ebbero finito, spensero il lume e cercarono un luogo per dormire, ognuno secondo la propria natura. L’asino si sdraiò sullo strame, il cane dietro la porta, il gatto sul focolare vicino alla cenere calda e il gallo sulla trave maestra. E si addormentarono subito perché erano stanchi del lungo viaggio.
Quando scoccò la mezzanotte e i briganti videro da lontano che in casa non c’era più il lume acceso e tutto sembrava tranquillo, il capitano disse: «Non permetteremo più che ci si cacci di casa, per il corno di un caprone!», e mandò avanti uno per esplorare la casa. L’inviato trovò tutto tranquillo, andò in cucina per accendere un lume e poiché gli occhi scintillanti come carboni accesi del gatto gli sembravano veramente carboni accesi, vi avvicinò uno zolfanello perché prendesse fuoco. Ma il gatto non capì lo scherzo e gli saltò sulla faccia soffiando e graffiando. Egli si spaventò terribilmente e volle uscire dalla porta di dietro, ma il cane che giaceva lì lo morse alla gamba; e mentre il brigante, attraverso il cortile, correva vicino alla concimaia, l’asino gli vibrò un vigoroso calcio con la zampa posteriore. Intanto il gallo, che dal rumore era stato distolto dal sonno e si era destato, dalla trave cacciò un potente chicchirichì. Il brigante corse come meglio poté dal suo capo e disse: «Ahimè, nella casa si è stabilita una orrenda strega, che mi ha soffiato in faccia e con le sue lunghe dita mi ha graffiato; dinanzi alla porta stava un uomo con un coltello che mi ha pugnalato la gamba e nel cortile era sdraiato un mostro nero che mi ha bastonato con un mazza, e sopra il tetto c’era il giudice che gridava: – Consegnatemi quel briccone! -. Sono riuscito a stento a scappare».
Da allora i briganti non osarono più avvicinarsi alla casa, mentre i quattro musicanti di Brema vi si trovarono così bene che non vollero più lasciarla