Georg Henrik von Wright
Libertà e determinazione
Pratiche, Parma 1984
Indice
Introduzione di Raffaella Simili
Prefazione all’edizione italiana
Prefazione
Cap. I – Azione e capacità. Intenzione
1. La nozione di “libero arbitrio” trae origine dal fatto che l’uomo può agire, fare diverse cose. “Può” si riferisce qui alla capacità. Spiegazione suggerita: x può fare p se e solo se, in una situazione in cui si può fare p, x normalmente farebbe p se scegliesse di farlo. In questo caso il secondo “può” si riferisce ad una opportunità per l’azione.
2. Un agente può volere fare ciò che non può fare. Volere e desiderare. Se un agente intende fare qualcosa, pensa anche di poterla realizzare. Se si rende conto di essersi sbagliato circa la propria capacità, la sua intenzione verrà o abbandonata o modificata. L’intenzione di imparare a fare. Fare e tentare.
3. Le nozioni di oggetto di intenzione e fine dell’azione. La formazione dell’intenzione precede il raggiungimento del fine.
4. La distinzione fra l’intenzione di fare qualcosa e il fare qualcosa intenzionalmente. Non ogni azione intenzionale ha un oggetto di intenzione. Quando l’azione non ha successo, si può costituire per essa un oggetto retrospettivo di intenzione.
5. Azione intenzionale e non-intenzionale. Esse non sono due “specie” del “genere” azione. L’azione non intenzionale è una nozione secondaria. Fare cose per errore o per negligenza.
6. La nozione di omissione. Nel senso più lato, omissione è il nonfare nonostante la capacità e l’opportunità. Le nozioni connesse di rinuncia, astensione, indugio e trascuratezza. La capacità di omettere. Le espressioni “x può omettere di fare p” sono normalmente, ma non sempre e necessariamente, equivalenti.
7. Asimmetria tra la capacità di fare e omettere. Le nozioni di tentazione e avversione. La prima può annullare una capacità di fare qualcosa. Confronto con le nozioni d’impedimento e costrizione. Esse si applicano soltanto fino a quando si conserva la capacità di fare e omettere. Perché non si può cercare di omettere un’azione senza aver successo. Ma si può cercare di vincere un’avversione o una tentazione e fallire.
8. Un’asimmetria tra costrizione e impedimento. Ostacoli fisici possono impedire a un agente di fare qualche cosa; ma la mera forza fisica non può costringerci ad agire.
9. Un’asimmetria tra fare e omettere: si possono fare al massimo alcune cose contemporaneamente, ma ottenerne molte.
10. Le nozioni di ambito di capacità e di azione totale.
11. La nozione di orizzonte di intenzionalità. Un agente che agisce intenzionalmente in una data occasione esegue un’azione entro il suo orizzonte di intenzionalità (in quella occasione).
12. L’importanza delle nozioni di ambito di capacità, azione totale e orizzonte di intenzionalità per i problemi connessi con la determinazione delle conseguenze di un’azione (utilitarismo dell’atto) e con la spiegazione di un azione.
Cap. II – La spiegazione dell’azione
13. La domanda del “perché?”. Spiegazione e giustificazione. La nozione di determinante dell’azione. Ragioni e cause. La nozione di causa nomica o “humiana”.
14. I determinanti interni dell’azione. Il modello della spiegazione intenzionale
15. Una spiegazione è completa allorquando l’attitudine epistemica e volizionale dell’agente congiuntamente costituiscono una razione cogente per la sua azione.
16. Le ragioni non cogente. Quando l’azione eseguita è il risultato di una scelta fra diverse azioni totali (mezzi per un fine) entro l’orizzonte di intenzionalità dell’agente, l’agente esegue un’azione disgiuntiva
17. Le ragioni della scelta tra mezzi alternativi per un dato fine.
18. Delle preferenze. Preferenze ragionate e pure nella scelta dei mezzi “in vista di” fini. Le preferenze “pure” non sono determinanti dell’azione.
19. La nozione di scelta immotivata. Non viene fatta per una ragione, né esprime una preferenza (“pura”).
20. Dei mezzi che non sono né necessari né sufficienti, ma solo “favorevoli” a un dato fine.
21. Riassunto delle tre forme principali del modello di spiegazione intenzionale dell’azione.
22. Dei casi in cui l’orizzonte di intenzionalità dell’agente non abbraccia tutti i mezzi per un dato fine dei quali avrebbe effettivamente potuto servirsi.
23. Della massima di Kant per cui chiunque voglia il fine vuole anche i mezzi necessari in suo potere. Volere il fine come impegno a usare i mezzi che sono ritenuti necessari.
24. La limitazione posta dal modello di spiegazione intenzionale alle azioni che sono mezzi “in vista di” un fine. Solo una piccola, ma importante classe di azioni umane hanno questo carattere.
25. I determinanti esterni dell’azione. Sfide simboliche – “giochi” istituzionalizzati di azione comunicativa. La reazione alla sfida, la partecipazione al “gioco” sono azioni intenzionali. Ma solo in casi marginali l’azione è fatta a partire dall’intenzione. Il “fondamento” o la “ragione” dell’agire rappresentato da un sfida simbolica normalmente non vengono considerati cogenti.
26. Regole o norme come determinanti esterni dell’azione. Distinzione tra regole prescrittive e costitutive. Le prime possono dirci perché è stata eseguita un’azione; le seconde ci dicono come l’azione è stata eseguita.
27. Come i determinanti esterni possono richiamare le azioni? La relazione tra schemi istituzionalizzati di condotta e interessi. Il fenomeno della pressione normativa connette i determinanti esterni dell’azione con i determinanti interni. Il ruolo di “sfondo” del modello di spiegazione intenzionale quando l’azione è in risposta a una sfida simbolica o a una regola.
28. Il concetto di interiorizzazione. Più gli schemi istituzionalizzati di condotta vengono interiorizzati dai membri di una società, meno si avverte l’impatto della pressione normativa. Interiorizzazione e libertà. La libertà dell’auto-determinazione contrapposta alla libertà sottoposta a regole.
29. Il ruolo asimmetrico della punizione e della ricompensa come determinanti dell’azione. L’idea che la partecipazione a forme istituzionalizzate di condotta costituisca di per se stessa una ricompensa.
Cap. III – La natura delle ragioni
30. Qual è la natura logica della relazione fra un’azione e i suoi determinanti? L’aspetto ex ante actu e quello ex post actu della questione.
31. La relazione fra un’azione e i suoi determinanti dal punto di vista ex ante actu. Le posizioni causalistica e concettualistica.
32. Azione “ritardata” e “immediata”. La nozione di “avvio” dell’azione. Cambiamento di idea. Un’intenzione per l’azione immediata condurrà normalmente all’avvio dell’azione. Il significato qui di “normalmente”.
33. La conoscenza del determinante volizionale-cognitivo come base per prevedere l’azione. Confronto di queste previsioni con la previsione degli effetti a partire dalla conoscenza delle loro cause (“humiane”).
34. La relazione tra un’azione e i suoi determinanti esterni dal punto di vista ex ante actu. Questa relazione non può essere né una relazione di conseguenza logica, né una conseguenza nomica. Correlazioni statistiche tra tipi di determinanti esterni e reazioni appropriate. Perché non siamo disposti a chiamare queste correlazioni “leggi”.
35. La relazione tra un’azione e i suoi determinanti interni dal punto di vista ex post actu. Quando l’intenzione è nel senso di un’azione immediata, l’azione “in conformità al” determinante volizionale-cognitivo ha luogo a causa dell’intenzione e dell’attitudine epistemica dell’agente. Nel fornire la propria ragione dell’azione, l’agente esprime la comprensione che ha di se stesso. Discussione della questione se sia necessario che la ragione (propria) dell’agente per fare qualcosa sia identica alla ragione per cui ha fatto quella cosa. Un agente può sbagliarsi circa le proprie ragioni.
36. La presenza di un determinante esterno costituisce ipso facto una “ragione per” l’azione. Da questo, tuttavia, non segue che l’azione fu intrapresa per quella ragione.
37. Il fatto che i determinanti esterni costituiscono ragioni per la azione dipende dal fatto che essi hanno “efficacia causale” rispetto all’azione.
38. Il “perché” interno ed esterno. Il primo si riferisce alla ragione dell’agente per fare ciò che ha fatto. Il secondo si riferisce a una legge che collega la ragione e l’azione, date le circostanze del caso. Non bisogna pensare che le due interpretazioni siano rivali, ma a ciascuna andrebbe riconosciuto il diritto di esistere.
39. Il carattere sui generis della relazione (interna) tra le azioni e i loro determinanti. Della fallibilità delle spiegazioni di azioni in termini di ragioni per agire dell’agente.
Cap. IV – I determinanti dell’intenzione
40. Volizioni e obblighi come fonti principali da cui l’intenzioni possono scaturire.
41. Le volizioni come manifestazioni di predilezioni. E’ nella natura (logica) delle cose piacevoli e gradite essere volute. La domanda del perché a uno piaccia quel che gli piace a volte può trovare una risposta. Le risposte possono essere di vari tipi.
42. Oggetti contingenti e non-contigenti di volizione. Non si può domandare perché un agente persegua un oggetto non-contingente di volizione, ad esempio la saluta e la felicità. Ma è un errore pensare che tutte le azioni umane siano, in ultima analisi, indirizzati a questi oggetti. La debolezza della volontà o il richiamo del dovere possono prevalere sulla ricerca di ciò che si vuole necessariamente.
43. Le volizioni come determinanti delle azioni. A differenza dalle intenzioni, le volizioni non costituiscono mai ragioni cogenti. Una volizione può maturare in intenzione, ma anche sfumare in desiderio.
44. Dire che l’azione ha avuto luogo perché l’agente voleva qualcosa è un modo, fra gli altri, di comprendere l’azione.
45. Il “soppesare” le volizioni confrontandole fra loro nel processo di deliberazione. L’idea di volizione più forte determina la scelta.
46. In che senso si può dire che un agente sceglie di agire, quando ricerca qualcosa che vuole e non delibera? Il significato di “avrebbe potuto agire diversamente”.
47. Quando un agente “ciecamente”, senza scelta o intenzione, persegue qualcosa che desidera, allora la volizione non è un determinante del suo comportamento. Il volere si accompagna all’azione intenzionale.
48. Il “libero arbitrio” di un uomo risiede nel fatto che è capace di eseguire azioni.
49. L’obbligo come determinante dell’intenzione. Obblighi, ruoli, aspettative.
50. Gli obblighi come determinanti delle azioni di chi ricopre un ruolo.
51. Ruoli e astensione da certe azioni.
52. Gli obblighi e i ruoli come limitazione della libertà individuale: un caso di pressione normativa operante in una data società.
53. Dell’abbandono dei ruoli.
54. Il potere deontico associato ai ruoli. Un agente le cui azioni sono determinate dal ruolo fin nei minimi dettagli ha, in un certo senso, annullato la propria volontà.
55. Osservazioni conclusive sull’edonismo psicologico. L’assurdità della tesi secondo cui ogni azione umana viene intrapresa o perché si pensa che conduca a qualcosa che l’agente vuole o perché si pensa che gli risparmi qualcosa che l’agente vuole o perché si pensa che gli risparmi qualcosa che egli vuole evitare. La partecipazione a modi di condotta istituzionalizzati, retti da regole, tuttavia, è circondato da un’ “aura di pressione normativa”. Questo può, in alcuni casi, costituire un motivo ultimo in termini di volizioni e repulsioni per spiegare il modo ultimo in termini di volizioni e repulsioni per spiegare il modo in cui gli esseri umani agiscono.
Scheda
Nell’umanesimo sociale di von Wright si saldano prassi, etica, razionalità e teoria dell’azione. A quest’ultima è intimamente connesso il concetto di determinazione. Libertà e determinismo, lungi dall’essere in inconciliabile opposizione, sono aspetti collegati dal concetto di azione umana. Intenzioni, richieste, norme e regole sociali sono per von Wright le sole “ragioni” che ci consentono di entrare e di agire nel gioco del mondo.