Avvicinarsi agli studenti come a una tribù aliena: molti saggi degli ultimi tempi e molti romanzi l’hanno fatto, non senza ragioni, per la conclamate differenze nell’apprendere, nel concentrarsi, nel porsi, rispetto alle generazioni precedenti. L’insegnante in questo caso, con una buona dose di cinismo, o di rassegnata delusione, osserva, analizza, indaga la sua classe come in un laboratorio. Pronto a fuggire, a rifugiarsi, se ci riesce, nel dorato mondo del successo letterario.
All’interno del romanzo Un giorno perfetto, fitto di storie incrociate e di personaggi molto diversi tra loro, la figura del professore Sasha sembra offrire il destro a una piccola satira sui tanti professori-scrittori che popolano il nostro presente.
M. G. Mazzucco, Un giorno perfetto, Milano, Rizzoli, 2009, p. 128
«Leggiamo Saba» disse Sasha, sfogliando disperatamente l’antologia.
«Prof, chi è ‘sto Saba? nessuna terza ci arriva, che lo leggiamo a fare?» protestò Festa.
«Chi vuole leggere?» lo ignorò Sasha, e siccome nessuno gli venne in aiuto disse:
«Vieni tu, Valentina?»
(…)
Per mesi, coi suoi studenti, aveva vagato in un labirinto, senza avvicinarsi al centro di un passo e senza trovare l’uscita. All’inizio, li aveva considerati un’occasione. Quei ragazzini turbolenti, e però abulici, ignoranti e però avidi di tutto, erano la materia umana più interessante in cui si fosse imbattuto, e in cui probabilmente si sarebbe imbattuto negli anni a venire. Gli sarebbe piaciuto decodificarli come un popolo sconosciuto – scoprire i criteri coi quali elaboravano le informazioni, il misterioso funzionamento della formazione delle coscienze. E possibilmente raggiungerli dove si nascondevano – non spegnere in loro la luce. SILLOGISMO: Gli insegnanti rovinano gli allievi. I ragazzi sono aperti a qualunque esperienza – aveva scritto dopo il primo giorno di scuola. Se i tuoi studenti resteranno chiusi all’arte e alla poesia e all’intelligenza, ricordati che sarà tua la causa e tuo il fallimento. DECALOGO. Con umiltà, pazienza, dedizione, sensibilità, allegria, mi prefiggo di abbattere il muro di incomunicabilità che li separa da me, di entrare nella dimensione esistenziale di un’intelligenza inespressa – e di liberarla, restituendola a questo mondo.
Dall’esperienza voleva ricavare un racconto, che avrebbe pubblicato sulla rivista letteraria alla quale collaborava da tempo con qualche reportage a tema sociale e novelle ispirate dal nuovo realismo americano. E poi lo avrebbe ampliato e trasformato in un romanzo. Non lo interessava la scuola, ma la gioventù – quegli anni leggeri leggeri e insieme terribili sospesi sulla soglia dell’identità e della vita.
(…)
Adesso il romanzo che avrebbe dovuto trasformarlo in uno scrittore era finito in una scatola da scarpe, insieme a un ammasso di detriti: articoli di giornale sull’afasia degli adolescenti, bigliettini d’amore che le allieve gli scrivevano di nascosto e gli recapitavano nella cassetta postale, braccialetti di filo che gli regalavano al ritorno dalle vacanze, fotocopie di un saggio di sociologia sulla crisi della famiglia…
(…)
«Leggi, per favore»…