Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1511
Fra loro al primo posto stanno i grammatici, che sarebbero per certo la genìa più calamitosa, più lugubre, più invisa agli Dèi, se non ci fossi io a mitigare, con una dolce forma di follia, i guai di quella infelicissima professione.
Su di essi, infatti, non pesano solo le cinque maledizioni di cui parla l’epigramma greco, ma tante, tante di più: sempre affamati, sempre sporchi, se ne stanno nelle loro scuole, e le ho chiamate scuole, ma avrei dovuto dire luoghi dove si lavora come schiavi, camere di tortura; fra turbe di ragazzi invecchiano nella fatica; assordati dagli schiamazzi, imputridiscono nel puzzo e nel sudiciume; tuttavia, per mio beneficio, avviene che si ritengano i primi tra gli uomini. Sono così contenti di sé, quando col volto truce e con la voce minacciosa atterriscono la tremebonda folla degli alunni; quando le suonano a quei disgraziati con sferze, verghe e scudisci, e in tutti i modi incrudeliscono a loro capriccio, a imitazione del famoso asino di Cuma. Intanto, per loro, quel sudiciume è la quintessenza del nitore, quel puzzo sa di maggiorana, quell’infelicissima schiavitù è pari a un regno, a tal punto che rifiuterebbero di scambiare la loro tirannide col potere di Falaride o di Dionigi. Ma anche più felici si sentono per non so quale convinzione di essere dei dotti. Mentre ficcano in testa ai ragazzi madornali sciocchezze, tuttavia, Dio buono, di fronte a chi, Palemone o Donato che sia, non ostentano sprezzante superiorità? (…)
C’è poi un’altra fonte di piacere: quando uno di loro scova in un foglio ammuffito il nome della madre di Anchise, o una paroletta di uso non comune, BUBSEQUA, BOVINATOR o MANTICULATOR, o quando, scavando da qualche parte, tira fuori un frammento di antico sasso che porta un’iscrizione mutila. O Giove, che esplosioni di gioia allora, che trionfi, che elogi! come se avesse messo in ginocchio l’Africa, o espugnato Babilonia! E che diremo di quando vanno sbandierando a tutto spiano i loro insulsissimi versiciattoli, che non mancano peraltro di ammiratori? credono ormai che lo spirito di Virgilio sia penetrato in loro. Ma la scena più divertente si ha quando si scambiano lodi e complimenti, e a vicenda si danno una lisciatina. Se poi uno di loro incappa in un lapsus, e un altro più avveduto per caso se ne accorge, allora sì, per Ercole, che ne viene fuori una tragedia a base di polemiche, di litigi, di ingiurie! Possano tutti i grammatici volgersi contro di me, se mento. Ho conosciuto una volta un tale, dotto in svariati campi: sapeva di greco, di latino, di matematica, di filosofia, di medicina, e questo a livello superiore. Ormai sessantenne, messo da parte tutto il resto, da oltre vent’anni si tormenta sulla grammatica, ritenendo di poter essere felice se vivrà abbastanza da stabilire con certezza come vadano distinte le otto parti del discorso; finora nessuno, né dei Greci né dei Latini, ci è riuscito pienamente. Di qui quasi un caso di guerra se uno considera congiunzione una locuzione avverbiale. A questo modo, pur essendovi tante grammatiche quanti grammatici, anzi di più se solo il mio amico Aldo Manuzio ne ha pubblicate più di cinque, questo tale non tralascia di leggerne ed esaminarne minuziosamente nessuna, per barbara o goffa che sia nello stile. Guarda infatti con sospetto chiunque faccia in materia un tentativo, sia pure insignificante, attanagliato com’è dalla paura che qualcuno lo privi della gloria, rendendo vane così annose fatiche. Preferite chiamarla follia o stoltezza? A me poco importa, purché siate disposti a riconoscere che, per mio beneficio, l’animale più infelice di tutti può attingere tale una felicità da non volere scambiare la propria sorte neppure con quella dei re persiani.