«Sono stato spesso ossessionato da una domanda: esistono dei rifugiati felici? Io non ne ho conosciuti. Ma ho conosciuto tanti che erano felici di potersi rifugiare. E’ un paradosso dell’esilio.
Il discorso sui rifugiati a volte è quello di una consolazione, spesso nascosta o tacita. Ci si consola paragonando il proprio destino, come si è verificato, a quello che avrebbe potuto essere. C’è un promemoria di Plutarco, scritto all’alba della storia, che trasmette una specie di saggezza di coloro che dovevano andarsene per rifugiarsi in un altro paese: “Aristotele era di Stagira, Teofrasto di Ereso, Stratone di Lampsaco, Glicone della Troade, Aristone di Chio, Critolao di Farselide e, nella scuola stoica, Zenone era di Cizio, Cleante di Asso, Crisippo di Sori, Diogene di Babilonia, […] e tutti hanno dovuto andarsene”. E lo storico aggiungeva: “Se non fossero partiti, forse non avrebbero fatto quello che hanno fatto”.
Rari sono i momenti in cui questo tipo di consolazione riesce a soddisfare i veri esiliati, emigrati, rifugiati.»
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Da Mondo ex e tempo del dopo: identità, ideologie, nazioni nell’una e nell’altra Europa di Predrag Matvejevic (Garzanti, 2006)