In occasione del giornata della memoria la Fondazione Gramsci Emilia-Romagna propone due suggerimenti di lettura presenti in biblioteca ed entrambi di Edith Bruck, scrittrice di origine ungherese, dopo la deportazione da bambina nei lager nazisti ha vissuto in diversi paesi e dal 1954 abita a Roma. È autrice di romanzi, racconti, raccolte di poesia e tre film.
In Signora Auschwitz. Il dono della parola (Marsilio, 2014) narra, in occasione dei suoi impegni scolastici, il tormento che le reca dovere testimoniare la sofferenza e le offese personalmente subite da lei e dai propri cari durante il periodo della deportazione.
Un testo sul «dono della parola», sul dovere di non dimenticare che però può essere anche una condanna a ricordare e soffrire. Edith Bruck racconta con passione il dolore della memoria, la distanza che allontana dall’indifferenza degli altri, la disperazione di fronte all’incredulità, l’eroismo necessario per raccontare l’orrore che si è vissuto.
“Ciò che mi turbava non poco era anche quel mio ruolo di narratrice di orrori. Se da una parte dovevano sapere, dall’altra tutto ciò non li indeboliva nei confronti del mondo? Erano già bombardati di violenza quotidianamente, e, pur essendo assuefatti, intossicati di disastri vicini e lontani, mi accorgevo sempre delle loro reazioni liberatorie quando affermavo che nonostante tutto credevo nel bene e nel bello.”
Ne Il pane perduto (La nave di Teseo, 2021) ripercorre la sua vita da quando era una bambina ed abitava in un piccolo villaggio ungherese fino all’arrivo a Roma negli anni cinquanta, dopo un lungo peregrinaggio.
Racconta così del suo arrivo a Napoli:
“Per la prima volta mi trovavo bene subito, dopo il mio lungo e triste pellegrinaggio: “Ecco,” mi dicevo, “questo è il mio Paese.” La parola patria non l’ho mai pronunciata: in nome della patria i popoli commettono ogni nefandezza. Io abolirei la parola “patria”, come tante altre parole: “mio”, “zitto”, “obbedisci”, “la legge è uguale per tutti”, “nazionalismo”, razzismo, “guerra” e quasi anche la parola “amore”, privata della sua sostanza.”
Il libro si conclude con una lettera a Dio nella quale esprime il suo desiderio di tramandare alle generazioni future la memoria.
“Ti prego, per la prima volta ti chiedo qualcosa: la memoria, che è il mio pane quotidiano, per me infedele fedele, non lasciarmi nel buio, ho ancora da illuminare qualche coscienza giovane nelle scuole e nelle aule universitarie dove in veste di testimone racconto la mia esperienza da una vita.”