È mancata a 95 anni Maria Giacobbe, insegnante, autrice del volumetto Diario di una maestrina uscito nel 1957 per Laterza. È una delle testimonianze importanti del ruolo della scuola nel dopoguerra in aree disagiate come l’entroterra sardo e quindi della preziosa presenza degli insegnanti elementari – in gran maggioranza donne – per trasformare quei bambini o già giovani adulti in cittadini.
Qui sotto un estratto:
Maria Giacobbe, Diario di una maestrina, Il Maestrale, 2003
Cap 2_ Noviziato vagante
[…]
«I ragazzi non mancavano di intelligenza e di vivacità e, benché sfigurati dalla tigna, mi sembravano quasi belli: gli occhi accesi e vivaci, quelli che ancora non li avevano distrutti dal tracoma, e le bocche fresche anche se restie al sorriso. Tuttavia, soprattutto la prima settimana mi fu molto faticosa; il maestro che sostituivo – non ebbi mai la ventura di conoscerlo – doveva essere molto amato dai suoi allievi che guardavano me come una usurpatrice.
Non ci furono ribellioni aperte, solo un’ostilità segreta la cui unica manifestazione esteriore era annoiata indifferenza per la mia persona. Mi sforzavo di “svolgere il programma”, mi sforzavo
di essere piacevole, cercavo di divertirli… niente! Tutto urtava contro il ghiaccio della loro antipatia. Erano certo molto civilizzati, mai nessuno mi disse una parola irrispettosa né alcuno fece un gesto sgarbato; solo si sforzavano di ignorarmi, sopportandomi – devo ammetterlo – con una certa pazienza in attesa che il loro maestro tornasse.
Finalmente un giorno, la terra o forse il cielo mi vennero in aiuto sotto forma di una grande biscia nera impigrita dal sole. Apparve all’improvviso all’architrave della finestra.
Non so chi si accorse per primo e attirò l’attenzione su di essa. Scivolò lungo le pareti e, indolente, rimase sul davanzale in attesa che una decisione maturasse nel suo spirito. A un tratto si risolse e con tranquilla maestà scivolò dentro l’aula, nella macchia di sole sul pavimento.
Fin dal suo primo apparire un silenzio teso aveva coagulato il brusio che è normale in un’aula scolastica. Affascinati ne seguivamo i movimenti, trattenendo il respiro per timore che un nostro gesto la facesse sfuggire.
Quando fu in mezzo alla polvere, sotto la lavagna, con la rapidità silenziosa e repentina del gatto un ragazzo del primo banco le si gettò sopra con le mani aperte e la catturò. Subito ci fu un gran chiasso. La tensione si era spezzata. I bambini uscivano dai banchi rumorosamente e si affollavano attorno al cacciatore. Era il mio momento. Non voglio atteggiarmi ad eroe: anche io sono cresciuta in campagna e da bambina mi piaceva giocare con le bisce come mi piaceva cercare tra il fieno i nidi dell’allodola. Perciò non ebbi difficoltà ad impadronirmi del rettile e a lodarne, tra lo stupore ammirato dei miei alunni, le dimensioni eccezionali e la pelle cangiante.
Le donne, in Sardegna, hanno generalmente un timore superstizioso delle bisce la cui immagine ricollegano forse a quella del serpente che nella iconografia fia cattolica la Madonna schiaccia col piede. Io, non solo non ero scappata come qualunque altra avrebbe fatto, ma la toccavo senza ribrezzo e l’ammiravo.
Purtroppo non ebbi tempo di consolidare il mio successo che già i quindici giorni erano terminati.»
Nel suo vagare tra scuole diverse la “maestrina” affronta situazioni di povertà e di pregiudizi feroci ma non cede mai all’arma della violenza o della sopraffazione, come le colleghe le consigliano: vuole davvero essere parte del cambiamento morale e civile della sua classe.
Riportiamo un estratto dal volume di Cinzia Ruozzi “Raccontare la scuola” che, nell’analizzare l’opera di Maria Giacobbe, fa luce sulla specifica situazione storica.
«Come scrisse Maria Giacobbe nella Prefazione all’edizione del 1975, non si trattava di una visione velleitaria della realtà, bensì del sentimento comune di speranza suscitato dall’imminente attuazione del Piano di Rinascita della Sardegna. Infatti il Piano approvato nel 1948 e reso operativo nel 1962 stanziava 400 miliardi per lo sviluppo economico dell’isola, prevedeva la costruzione di 19 dighe, il risanamento del settore minerario, l’incremento dell’agricoltura e dell’allevamento. Esso avrebbe cancellato la piaga dell’aggiudu, cambiato i destini di miseria e di isolamento di tanti bambini, contribuito alla formazione e alla specializzazione dei giovani. Alla rinascita economica scaturita dal basso si accompagnava in modo inscindibile la rinascita morale: gli intellettuali, gli insegnanti come Maria Giacobbe, sentivano di avere un ruolo fondamentale nella costruzione di una società nuova, compito che la stessa comunità in buona parte gli riconosceva. Tuttavia il Piano di risanamento fallì i suoi obiettivi, per un insieme di motivi e di errori che l’autrice analizza con precisa cognizione nel testo della Prefazione. La maestra si interroga anche sui destini dei suoi allievi e amici e nella Postilla al testo ne racconta le storie; i piccoli protagonisti: Pietro, Don Coco, Giovanni, Luciana hanno seguito il destino del grande esercito degli emigrati, circa 350000 che lasciarono la Sardegna tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta. Partiti per destinazioni lontane e accolti da sorti diverse.»
(Cinzia Ruozzi, QdR – 2. Raccontare la scuola, Collana Didattica e letteratura, Loescher editore, 2014)